Torna in Italia dopo un’assenza durata tre anni Marilyn Manson, l’icona indiscussa dello shock rock degli ultimi vent’anni, capace di mobilitare e catalizzare l’opinione pubblica, soprattutto quella vicina all’area cattolica, ogni volta che decide di sbarcare nel nostro Paese. Non sorprende, quindi, la serie di controlli da parte di Polizia e Guardia di Finanza agli ingressi, così accurati che rendono l’ingresso al Gran Teatro Geox meno scorrevole ed agevole rispetto alla norma. Lo show di Manson lascia un retrogusto amaro; nei primi brani Brian Warner aveva lasciato intuire di essersi lasciato alle spalle lo stato di forma precario della sua ultima calata in Veneto: un frontman lanciato, soprattutto dal punto di vista vocale, per un concerto sembrava destinato a seguire la rinascita “indipendente” dell’ultimo lavoro in studio “Born Villain“. Peccato che già dopo il primo singolo “No Reflection“, Manson accusi la fatica e crolli letteralmente: sarà stato probabilmente in condizioni psicofisiche non ottimali, già riscontrate da alcuni fan nelle precedenti date del tour, ma la differenza tra la prima parte e il resto dell’esibizione (che è durata poco meno di 90 minuti) è stata evidente.
Penalizzato da una scaletta non ispirata, lo show si trascina pesantemente verso l’atto finale, nel quale Marilyn Manson gioca i suoi assi, facendo virare con un (inaspettato?) colpo di coda una performance altrimenti penosa. “Irresponsible Hate Anthem” è una delle legnate più spaventose dell’alternative rock anni Novanta e viene proposta in tutta la sua carica (auto)distruttiva da una backing band clamorosa, che vede in Twiggy Ramirez il suo componente più conosciuto. “Sweet Dreams” si conferma come una delle rivisitazioni più riuscite di sempre e resta l’episodio più mainstream di una carriera ormai arrivata al traguardo dei vent’anni. Ma è con “Antichrist Superstar” che Manson piazza il jolly: rispolverare la scenografia del tour di supporto al suo più famoso album, con tanto di podio e striscioni sullo sfondo, cosa spesso lasciata in disparte nei precedenti tour. Con “The Beautiful People” si chiude la prima data italiana di Marilyn Manson. Dovremo aspettare più di un mese per rivedere a Milano l’artista ingiustamente più controverso, molto probabilmente più incompreso, delle ultime due decadi.
In apertura i J27, gruppo toscano che purtroppo non ha ottenuto il seguito di pubblico che si sarebbe meritato, e i Binary, band inglese nella quale troviamo sangue italiano (Francesco, chitarrista della band nato in Toscana) che propone un interessante post punk che ricorda molto band conterranee come, ad esempio, i White Lies. Emergenti, senza un disco da promuovere, non sono riusciti a catalizzare l’attenzione dei fan del Reverendo, anche per la proposta al di fuori dei canoni dell’headliner…ma le fondamenta ci sono: da tenere sott’occhio.
Setlist Marilyn Manson: Hey, Cruel World…, Disposable Teens, The Love Song, No Reflection, mOBSCENE, The Dope Show, Slo-Mo-Tion, Rock Is Dead, Personal Jesus (Depeche Mode cover), Pistol Whipped, Tourniquet, Irresponsible Hate Anthem, Sweet Dreams (Are Made of This) (Eurythmics cover), Antichrist Superstar, The Beautiful People
Nicola Lucchetta