1996, una Panda rossa e una musicassetta. Tanto bastava alle scorribande estive sulle statali lombarde alla ricerca del refrigerio di una gelata birretta pomeridiana. Anche perché la cassetta in questione era quella di “Roots” dei Sepultura, un album leggendario già allora e che i fratelli Cavalera, riunitisi per l’occasione, stanno riportando in giro per il mondo in una versione live giustamente celebrativa e un tantino nostalgica.
Li abbiamo visti ieri in un Live Trezzo imballato di gente, attesissimi col loro “Return To Roots”. L’apertura di serata è affidata agli gli Extrema, in vena di nostalgia pure loro, visto il contenuto del nuovo “The Old School EP”: cinque pezzi in studio più due live, registrati nel 2016 ma scritti una trentina d’anni fa e, se si esclude “Life”, mai pubblicati ufficialmente. Materiale assolutamente ancora in grado di scaldare gli animi del pubblico del Live, scatenando sul finale addirittura un wall of death.
Puntualissime sulla tabella di marcia si abbassano le luci, Max e Iggor guadagnano il palco assieme ai fidi Marc Rizzo e Johny Chow, rispettivamente chitarrista e bassista che discretamente li accompagneranno per tutta la tracklist dell’album capolavoro e oltre. “Roots Bloody Roots”, come da copione apre le danze, primo atto di un concerto nel corso del quale tutte le canzoni del disco, a cui seguì la dipartita di Max Cavalera dai Sepultura, vengono suonate nell’ordine originale, strumentali e pezzi in portoghese inclusi.
L’avvio non è dei migliori, ci si aspetterebbe più veemenza, se non da parte di Max, comunque in discreta forma vocale, almeno per quanto riguarda la parte suonata, ma, complice una venue molto grossa e i volumi scandalosamente bassi, l’effetto non è quello sperato. Il pubblico in sala, però, questo disco e i suoi artefici li ha amati alla follia e al Live ci è venuto per onorarlo. Le intenzioni, insomma, sono belligeranti e l’atmosfera goliardica è contagiosa. “Attitude”, “Cut-Throat”, “Ratamahatta” e la situazione diviene incontenibile. Al centro del parterre il pogo si fa massiccio su pezzi come “Breed Apart”, “Spit”, “Lookaway” e “Dusted”, ma è “Born Stubborn” a scatenare l’inferno.
La parentesi strumental-tribale di “Jasco” e “Itsari”, in una versione tutta affidata alle percussioni di Iggor, affiancato poi da Max, offre una tregua illusoria, rotta dal grido di guerra delle chitarre di “Ambush”. Si riparte dritti come un fuso fino a “Dictatorshit” con quel tupa-tupa, che trasforma il parterre in una bolgia. L’album è stato suonato per intero, ma i fratelli Cavalera ci tengono a regalare qualche livido in più al pubblico del Live, ed ecco che sparano un paio di cover tra cui una “Ace Of Spades” dei Motörhead tiratissima, seguita dal bis di “Roots Bloody Roots” a chiosa di un live tutto sommato riuscito. Max e Iggor non saranno più le tigri di una volta, ma le radici rimangono radici e, per una sera, tutte le Pande rosse sgarrupate e le cassette consumate in quel mitico 1996 hanno rivissuto la gloria di un tempo.