La potenza, il rombo, i cavalli del motor- e la stravaganza, l’imprevedibilità, l’indefinito universo –psycho: partirei dalla scomposizione del nome per riassumervi in una lapidaria serie di immagini le sensazioni che il pubblico del Circolo degli Artisti ha vissuto durante la serata del 6 maggio, quando il palco del noto locale capitolino ha ospitato una delle band più impressionanti nel panorama internazionale del rock alternativo (meglio dire del rock e basta, inteso in tutte le sue possibili forme e accezioni): i Motorpsycho, appunto.
Che si tratti di un concerto attesissimo non lo dice solo il tutto esaurito registrato al botteghino, bensì gli eccitati volti dei fan che affollano la sala ben prima dell’inizio del concerto. Molti quelli della prima ora, per nulla indecisi sulla scelta di rivedere o meno il trio norvegese (che ormai non solo in studio, ma anche sul palco è divenuto un quartetto grazie all’innesto di Reine Fiske) – testimonianza di affetto che vale più di altri dati sullo stato di salute del gruppo. Da veri uomini del nord l’ingresso spacca il minuto (21:30 esatte) e laddove mi sarei aspettato un esordio mefistofelico con Hell, tratto dall’ultima pubblicazione Still life with eggplant (da qui il “Tour with Eggplants 2013”), trovo invece un debutto morbido sulle note di Year Zero: sarà un segno? Stando alla traccia seguente, la bellissima The Ocean in her Eye, potrebbe esserlo, ma a fugare ogni curiosità su quale possa essere l’anima che la band potrebbe preferire in questo concerto, fra le tante, irrompe August, incendiaria e infervorata; almeno quanto la temperatura che si raggiunge presto sotto palco.
È proprio questo un aspetto per nulla scontato che la performance live evidenzia: i Motorpsycho hanno un’idea della musica molto semplice, diretta e mai legata a sovra-strutture che potrebbero renderla oscura o confusa. Prendete ad esempio il rapporto con il loro repertorio: libero, privo di crucci o scelte ascrivibili ad un presunto egocentrismo da divi: il pubblico sa cosa aspettarsi: di tutto: brani classici come Feel e sorprese come Arne Hassle. E la risposta è altrettanto semplice: amore spassionato e intensa empatia. A riguardo, una immagine che mi ha colpito è quella delle lacrime sui volti di molte ragazze – o coppiette in generale – sulle note di Feel o Barleycorn, malgrado non si trattasse di un pubblico di adolescenti.
Altrettanto genuini e squisitamente spensierati i poghi sotto il palco su Sinful o Drug Thing, senza lamentele o risentimenti da parte dei più tranquilli. La potenza sonora è affidata senz’altro alla sezione ritmica: precisamente il basso di Sæther (costantemente con i capelli sul volto) raggiunge volumi pazzeschi, e ognuna delle centinaia di note che vengono suonate in ogni brano (la media, anche del minutaggio, è alta) raggiunge non solo le orecchie, ma soprattutto lo stomaco dei presenti, andando ad eclissare la percezione della cassa – il che non ha affatto sminuito il groove della batteria, percossa in maniera rara. Complesso e ammirevole anche il dialogo ritmico-melodico tra le chitarre di Ryan e Fiske, una variabile in parte ascrivibile alla sezione “novità” per quanto riguarda i live della band.
Strapotenza sonora e delicatezza struggente, dunque: manca una buona parte centrale della larghissima escursione dinamica sostenibile della band, e questa scala è percorsa nella sua interezza durante la parte finale del lunghissimo concerto, dedicato più precipuamente all’anima psichedelica e jammy del trio. Ebbene, la seconda metà dell’esibizione è completamente assorbita da Blissard, riproposto nella sua totalità (eccezion fatta per l’ultima traccia, esclusa); dettaglio non da poco e dalla non precisata giustificazione. Scelta che conferma quanto dicevo a proposito della totale libertà e poliedricità della band. In un modo di vivere la scena dove l’errore è parte integrante del processo performativo capirete bene che risulta difficile descrivere questo tipo di spettacolo, se non definendola semplicemente esperienza, ovvero qualcosa che è possibile conoscere solo quando la vivi. Il pubblico resta a bocca aperta e pende dai suoni che lentamente si dipanano dal palco (S.T.G. è semplicemente ipnotica), vivendo intensamente gli ultimi istanti di un concerto che sta per concludersi. Scroscio di applausi al finale e un sentito, sincero ringraziamento della band al pubblico italiano, sempre caloroso e fedele.
Insomma quasi tre ore di pura experience al Circolo degli Artisti, che conferma una direzione artistica di altissimo livello. A tutti coloro che hanno perso questo appuntamento ricordo che i Motorpsycho oltre ad essere estremamente eclettici sono altrettanto prolifici, quindi crediamo non si faranno attendere a lungo!
Cristian Ciccone
[youtube vwJbSMihwDg nolink]