Affermare che i due concerti italiani del tour dei Muse sono fra gli eventi dell’anno non solo è sottinteso, ma addirittura riduttivo. Il pubblico è quello delle grandissime occasioni, l’Unipol Arena di Casalecchio (Bologna) fa registrare il sold out tanto che i presenti arrivano fino quasi all’uscita. Il premio originalità lo vince uno striscione che recita “Knights of Bolonya”, per parafrasare il titolo di una canzone celeberrima della formazione inglese (Knights of Cydonia). Le luci si spengono alle 21 precise, momento in cui i tre fanno il loro trionfale ingresso sulle note di “The 2nd Law: Unsustainable”, il primo pezzo reso noto dell’ultimo album e che tanto aveva spaventato i fan della prima ora, per poi cedere il passo alla bondiana “Supremacy”. Questi sono i Muse a cui siamo abituati: falsetti, arrangiamenti epici alternati a schitarrate a velocità supersonica e tanto rock, come quello di cui è intrisa “Hysteria”. Ma per chi li conosce bene, sa che non esiste un concerto dei Muse che non preveda l’utilizzo di maestose scenografie.
Se nel 2010 si erano serviti di due palloni giganteschi, a farla da protagonista stavolta è una grande piramide rovesciata composta da molti monitor, che fa la sua entrata sulle note iniziali di “Panic Station”, che è probabilmente il pezzo dalle sonorità più easy e funky dell’intera setlist. Con “Resistance”, una delle canzoni più sentite dal pubblico, si torna al pathos musiano, che raggiunge un livello sublime grazie ad “Animals”. Accompagnata da un video inquietante, in cui si alternano immagini di avidissimi broker a numeri e grafici che simboleggiano il crollo che si sta abbattendo sull’economia globale. Sarà che l’arrangiamento è ad alta tensione, sarà che le lyrics sono drammaticamente attuali, l’effetto è un misto tra il raccoglimento e la pelle d’oca. Bellamy è un plurivirtuoso: oltre ad essere un ottimo chitarrista ed un impeccabile cantante (non una défaillance nelle due ore di live), è anche un bravissimo pianista e il binomio “Explorers” – “Falling Down” ne è la riprova. La prima è un lentone romanticissimo da mattonella e accendino, la seconda è molto più malinconica, con tanto di video costellato di foglie gialle e rosse che cadono incessantemente.
“The 2nd Law” è il disco delle novità, che son state messe in rilievo durante lo show (ben 9 i brani inseriti in scaletta). “Liquid State” su tutte: il pezzo costituisce un banco di prova importantissimo per Chris Wolstenholme, che debutta come cantante. Il bassista non ha una voce paragonabile a quella del frontman, al contrario ha un range abbastanza limitato, ma è comunque intonato e riesce a portarlo a termine senza grandi difficoltà. Sempre dall’ultima fatica anche “Madness”, ormai diventata la canzone più rappresentativa dell’intero full lenght: per l’occasione, Matthew inforca degli occhiali da sole speciali sulle cui lenti scorrono le lyrics del brano. A differenza della precedente “Follow me”, il prossimo singolo, che dal vivo smussa il beat dance e lo trasforma in rock, quest’ultima risulta più marcatamente spaccata in due, con una prima parte fortemente elettro-synth e la seconda dalla pasta molto più rock.
Ovviamente non potevano mancare le due canzoni simbolo che hanno consacrato la formazione di Devon nel mondo dei grandi della musica: “Plug in Baby”, che trasforma il palazzetto in uno stadio, e “New Born” che riserva come sorpresa una minicitazione-tributo colta solo dalle orecchie più attente: l’outro della canzone si fonde con il riff di “Headup” dei Deftones, che accompagna l’abbassamento della piramide. I Muse spariscono una manciata di minuti, per poi riapparire e dar sfogo all’ultima dose di energia: “Uprising”, “Starlight” e “Knights of Cydonia” fomentano la folla sempre più in estasi dinanzi alla magnificenza dello spettacolo a cui stanno assistendo. Le due ore di show si concludono con “Survival”, una marcia trionfale che celebra l’amore per la vita, una sfida complicata ma meravigliosa nella sua imprevedibilità (non a caso è stata scelta come inno ufficiale delle olimpiadi). Alla fine di questo nuovo grande classico, dei giochi di fumo annebbiano il palco nascondendo, così, l’uscita definitiva della band dal palazzetto. Uno show durante il quale i musicisti non si sono risparmiati un secondo, facendo trascorrere (troppo) in fretta due ore intrise di bravura tecnica ed emozione. Perché diciamolo, i Muse sono il classico gruppo che a volte, su disco, spacca l’opinione pubblica in due ma che, dal vivo, travolge e spettina ogni singola persona che è lì a vederli. Per chi ne avesse la possibilità consigliamo vivamente di replicare l’esperienza nell’estate 2013, quando Bellamy, Wolstenholme e Howard torneranno in Italia per regalare altre due imperdibili date al pubblico italiano.
Claudia Falzone. Foto di Rudy Sassano.
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