Abbiamo già parlato dello show d’apertura di sabato 14 maggio; quella dei Muse al Mediolanum Forum di Assago del 17 maggio è la terza di sei serate sul suolo italico, impresa già di per sé notevole.
Del concerto poi, non ne parliamo. Anzi, sì.
Cosa passa per la testa a chi i Muse dal vivo non li ha mai visti? I dischi sono una cosa, si ascoltano volentieri e se uno non li ha c’è la radio, che li passa abbastanza spesso (Okay, c’è anche Spotify dato che non sto scrivendo dal 1985). Ma lo show, lo show non sapevo se mi avrebbe convinto. Per chi è abituato a palchi minimali e giochi di luce basilari, tutto il resto è spesso considerato “di più”, un orpello piacevole quanto inessenziale. I Muse non sono però una band qualsiasi, e pressoché chiunque li abbia visti dal vivo tende a consigliarli caldamente; alla fine abbandono la titubanza, e mi approccio al concerto con un certo grado di aspettativa.
La serata si apre con un coro di voci intrecciate: dodici sfere bianche volteggiano nell’aria. Cerco invano di capire dove siano i fili, poi ci arrivo: Drones. Niente fili.
La scaletta esplode fin dai primi brani, mentre i musicisti volteggiano sulla loro pedana girevole. Il palco è al centro del palazzetto, ed è davvero a 360° come mi aveva promesso la commessa dell’Ipercoop che mi ha venduto il biglietto. L’impatto visivo è incredibile: dal centro si allargano due passerelle che permettono a Matthew Bellamy e Chris Wolstenholme di avvicinarsi agli spettatori ai due estremi del palazzetto, mentre al centro Dominic Howard continua imperterrito a picchiare sulle pelli. Da sopra, si dipanano ogni tipo di effetti luminosi e 3-D, in un’orgia di suoni e colori che tre ore dopo la fine del concerto mi si para ancora davanti con chiarezza.
L’estetica fantascientifica della band, che si ritrova nei brani quanto negli “effetti speciali”, è una commistione di Orwell e Asimov: da un lato l’angosciante drone armato che circumnaviga il palco, dall’altro la luminosa città del futuro.
La scaletta pesca un po’ da tutto il trascorso della band, in particolare dall’ultimo album e da “Black Holes and Revelations“: all’interno di “Supermassive Black Hole” viene inserito il riff di “Heartbreaker”, dei Led Zeppelin (altri appassionati di dirigibili, che erano una sorta di droni vintage). I brani di più recente produzione, “Dead Inside” e “Mercy” su tutti, hanno fortissima resa live. E qui si torna un momento al discorso delle aspettative: da una band così incentrata sulla produzione in studio, con sonorità tanto ricercate quanto inconfondibili, era lecito aspettarsi un’esecuzione dei brani impeccabile quanto scolastica, il classico «sembra di ascoltare il ciddì!»; con piacevole sorpresa invece non è così, e anzi nonostante la minuziosa programmazione dello show i brani sono suonati dal vivo con un piglio non per forza identico a quello su disco, che si tratti di un riff di chitarra (non avevo mai notato il talento del Bellamy chitarrista finché non l’ho visto suonare dal vivo) o di un outro esteso.
Quello dei Muse è più che un concerto: è uno show, nella migliore accezione del termine.
Muse tour 2016 – Scaletta
Drones (Intro)
Psycho
Reapers
Bliss
Dead Inside
Citizen Erased
The 2nd Law: Isolated System
The Handler
Supermassive Black Hole
Prelude
Starlight
Munich Jam
Madness
Map of the Problematique
[JFK]
Defector
Time Is Running Out
Uprising
The Globalist
Drones (Reprise)
Encore:
Take a Bow
Mercy
Knights of Cydonia