Al Circolo degli Artisti di Roma va in scena il quarto appuntamento del tour di concerti organizzato da Radical Pop: on stage Neil Hailstead, già negli Slowdive, accompagnato, in apertura, dagli italianissimi Junkfood, di cui è recentemente uscito il secondo, bellissimo disco “The Cold Summer of Death”.
Prima di rendervi conto delle esibizioni sul palco, è doveroso spendere due parole sul meeting che ha inaugurato la serata, dal titolo “Fenomenologia del Primavera Sound Festival”. Approfittando della presenza di Alfonso Lanza Garcia, co-direttore del festival e responsabile della comunicazione e del marketing, oltre che di numerosi giornalisti e addetti al settore, si è cercato di fare chiarezza sulle dimensioni internazionali che il festival di Barcellona ha acquisito nel corso delle sue 13 edizioni.
L’identità del festval – spiega Garcia – nasce attorno ad una minoranza dal gusto raffinato, appassionata ad una musica differente, essenzialmente indie. Questa premessa ha incoraggiato la possibilità di sperimentare nuove idee per costruire e vivere il festival: a partire dal rifiuto dell’area camping, figlia del fango di Woodstock, in favore di appartamenti o ostelli che premettono di vivere la città; fino ad arrivare alle scelte riguardanti la promozione e il marketing. Un esempio? Il Primavera cambia ogni anno il proprio logo, senza correre il rischio di disorientare il proprio pubblico. Di forte impatto, inoltre, il film lanciato a fine gennaio per annunciare la line-up: in cartellone Arcade Fire, Pixies, Queens of the Stone Age, Nine Inch Nails e moltissimi altri.
Senza effettivi aiuti dai finanziamenti pubblici il festival giunge alla quattordicesima edizione contando per lo più sulle proprie forze: le entrate principali derivano infatti dalla vendita dei biglietti. Ci sono poi gli introiti del bar e degli sponsor, per un giro di affari che viaggia sui 10 milioni di euro. Sei persone lavorano a tempo pieno per cercare gli artisti, scelti soprattutto sulla base del gusto personale, e per stringere contatti con partner stranieri o agenzie di vario tipo. La scorsa edizione ha accolto ben 136.000 persone: un fiume in piena gestito in grande sicurezza dalla città e dai suoi eccellenti servizi – ed è qui che sta la differenza con il nostro Belpaese, che soffre per questi motivi la mancanza di un evento così ambizioso e credibile. Il sogno? David Bowie, che finora ha però declinato tutti i tentativi di seduzione.
Trait d’union tra il piacevole discorso attorno al Primavera Festival e la musica suonata è l’esibizione dei Junkfood, una delle tre band italiane che ci rappresenteranno a Barcellona. E il live non tradisce le aspettative. Il quartetto è dedito ad un rock strumentale molto alternativo, su cui spicca la tromba di Paolo Raineri, espressiva e trascinante in brani come “The Maze” o la bellissima “On Canvas”. In effetti c’è anche molto sperimentalismo: interessante e di grande impatto, ad esempio, il suo uso dei synth e dell’effettistica. La matrice jazz, cuore pulsante, irrora energie che fluiscono verso il prog, l’ambient o il post-rock. La dimensione live esalta le doti percussive di Fabio Cavina, bravissimo a fornire input ritmici mai banali al poderoso basso di Simone Calderoni – vera goduria in un brano come “Days are numbered” – e alle chitarre di Michelangelo Vanni, sempre attento a creare la giusta coesione tra le forze sonore in campo. Esibizione breve ma molto apprezzata.
Tocca alfine a Neil Halstead, accolto da una sala gremita: lui risponde con il suo set semplicissimo e sospeso, nel tentativo riuscito di ricreare un’intimità senza regressi, libera, solare ed espansiva. Lo contraddistinguono una voce calda, caldissima, capace di scavare a fondo, e una perfezione esecutiva sorprendente, mirabile. Particolarità della serata l’assenza di una scaletta studiata a puntino, e la volontà di lasciare il pubblico libero di dar sfogo alle proprie preferenze: tra i suggerimenti “Martha’s Mantra”, “Elevenses”, “No Mercy for the Muse” e “Bad Drugs on Minor Chords”. Neil scherza spesso con il pubblico, raccontando aneddoti su come siano nate alcune canzoni o su quanto sia cool il Colosseo visto da vicino – beh, era la sua prima visita nella Città Eterna. Insomma, grande carisma e tanta poesia per un set lungo più di un’ora, volato via tra dolcezza, ironia e grande familiarità, con quel calore che solo il folk sa trasmettere così spontaneamente.
Applausi dunque per Radical Pop, che – rimanga tra noi – ha in serbo succose anteprime per le prossime serate. Stay tuned!
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