Due erano i timori che mi avevano accompagnato nelle ore precedenti al concerto di Nick Cave And The Bad Seeds alla Kioene Arena di Padova, che in Veneto ha dato il via sabato 4 novembre al suo minitour italiano: funzionerà il suo concerto in un contesto di un palasport? E, soprattutto, ne uscirò nero come la pece come “Skeleton Tree”, l’ultimo studio album scritto prima e dopo la morte del figlio Arthur Cave e oggetto di questo tour?
La risposta è sì per la prima questione e, fortunatamente, no per la seconda. Nick Cave And The Bad Seeds nei palasport funzionano, e alla grande. Una mossa fatta molto probabilmente per monetizzare il grande seguito del cantautore australiano, che gode di un numero di estimatori tale da riempire numerosi palazzetti in Europa (anche di dimensioni importanti come la o2 di Londra e il Globe di Stoccolma), e collezionare numerosi sold out. La dimensione non disperde però la carica emotiva della musica dei Bad Seeds, che anche in location da migliaia di persone arriva in tutta la sua potenza e carica emotiva.
Questo grazie ad un mix eccezionale di ingredienti tarati alla perfezione: partendo dai suoni, perfetti sin dalle prime note di “Anthrocene” che dà l’inizio alle danze, in bilico tra intimismo ed inquietudine, anche grazie al timbro vocale caratteristico di Nick Cave. Una scaletta coraggiosa che, pur pescando da una buona fetta della sua carriera, sceglie di iniziare con ben tre brani dall’ultimo “Skeleton Tree”. Importante ruolo anche da parte della scenografia, dall’impianto luci che si adatta al mood dei brani (la prima esplosione di luce arriverà su “From Her To Eternity”, quinto pezzo) al telo che proietterà durante lo show riprese live (“Jesus Alone”), video in bianco e nero (“Tupelo”), trasformerà la Kioene Arena in un vero e proprio teatro (“Into My Arms”) e porta sul palco Else Torp, voce e co-protagonista del pezzo “Distant Sky”.
Contestualizzato, il mood del concerto di Nick Cave And The Bad Seeds è stato sorprendentemente positivo. Nick Cave non è un uomo cronicamente provato dal tragico lutto ma, anzi, fa trasparire di avere superato questa importante parentesi della sua vita. Numerosi sono i contatti con il suo pubblico, con uno dei massimi picchi emozionali che viene toccato su “Higgs Boson Blues” e la frase Can You Feel My Heartbeat cantata all’unisono dal pubblico e soprattutto nell’encore, quando invita numerosi fan sul palco e si butta in mezzo al pubblico in pieno epilogo. Numerosi i ringraziamenti agli stessi fan, con i quali vi è un tangibile collegamento sin dalle prime battute, con spazio anche a qualche battuta ironica, come l’I Love You Too detto ad una fan poco prima di “Into My Arms”.
Nota a parte per i Bad Seeds, la band che accompagna Nick Cave sin dai tempi dello scioglimento dei The Birthday Party: sono i perfetti compagni d’avventura, punto. Tolto il solo Warren Ellis, compagno di scorribande dagli anni Novanta (compresa la parentesi Grinderman) e di fatto secondo frontman del gruppo che si divincola perfettamente tra violino, chitarra e voce, il resto del gruppo è la perfetta macchina rodata composta da membri per buona parte presenti da più di trent’anni: una sinergia che ha permesso di portare in sede live tutte le sfumature, dalle più atmosferiche dilatate a quelle più rock come in “The Mercy Seats” e le complessità di una discografia composta da quasi venti studio album. Come se non bastasse, sono riusciti a non rendere noiose le improvvisazioni create su canzoni come “Higgs Boson Blues” e “From Her To Eternity”.
Nick Cave And The Bad Seeds nei grandi ambienti funzionano? Sì, senza ombra di dubbio. In un 2017 così affollato di grandi eventi, il cantautore australiano arriva a ridosso della fine dell’anno reclamando un posto nella classifica dei migliori concerti di quest’anno. E, in tutta sincerità, uno slot se lo merita tutto. Grazie di esistere, Nick Cave And The Bad Seeds.
Nicola Lucchetta – Fotografie di Giuseppe Craca