Non saranno stati i 35mila dell’apertura della data dei Muse al Rock in Roma 2015, ma il calore dell’accoglienza tributata ai Nothing But Thieves martedì 10 novembre 2015 dal pubblico del Biko di Milano, non li avrà certo fatti rimpiangere.
Già da un’ora prima dell’inizio concerto il marciapiede antistante la venue si popola di una folla ordinatamente scalpitante, testimone della grande attesa per la prima delle due tappe italiane del quintetto di Southend-on-Sea e che, lentamente deglutita dal budello d’ingresso, popolerà un parterre gremito come mai prima.
Saliti sul palco con discreta puntualità, Conor Mason (voce), Joe Langridge-Brown (chitarra), Dominic Craik (chitarra), Philip Blake (basso) e James Price (batteria), attaccano con l’opening track del disco d’esordio “Excuse Me”. Il suono arriva compatto e l’atmosfera si fa elettrica già alla prima esplosione del chorus di questo pezzo ricco di chiaroscuri e scarti dinamici, perfetto per aprire un live che, nello spazio di 13 pezzi, lascerà emergere in primis l’anima rock dei NBT. A seguire, “Itch” e “Hostage”, biglietto da visita di una band che dimostra di esserseli meritati tutti i prestigiosi palchi calcati durante l’estate, portano ad incandescenza una platea bollente già di suo. La risposta del pubblico è di quelle da non credere; il gruppo, di cui in effetti non si è parlato moltissimo in Italia, ha già uno zoccolo duro di fan, quelli che cantano tutti i ritornelli (senza ricorrere al famoso escamotage del kiwi-melone) e vanno di braccino teso al cielo per tutto il concerto. A vincere i cuori dei più reticenti, poi, ci pensa la simpatia di Conor Mason, voce (e che voce!), nonché vessillo di una formazione che è band nel dna, come nel suono, che esce grosso e coeso.
“Honey Whiskey”, brano incluso nell’edizione deluxe del disco, allenta la tensione, inaugurando una sezione centrale del live che andrà ammorbidendosi nelle atmosfere introspettive di “Graveyard Whistling” e “If I Get High”, – con tanto di chiamata del momento accendino ma siamo nel 2015 e quindi, nonostante il tabagismo incallito, arrivano i cellulari – intercalate dalla più energica “Drawing Pin”. È la quiete prima della tempesta portata da un trittico finale, composto da “Painkiller”, “Trip Switch” e “Wake Up Call”, sul quale si accende persino un accenno di pogo, fatto che consente di realizzare che James Price sta suonando con una tiara in testa. Un’allucinazione? No, la folla si apre per un istante e, si, è una coroncina. «Siete fottutamente i migliori», commenterà Conor prima di lasciare il palco con fare giustamente soddisfatto.
Rientrati in tre, Conor, Joe e Dominic suonano voce e chitarre l’intima ballata “Lover, Please Stay” al termine della quale il lancio di un asciugamano madido di sudore manda in visibilio le groupie in prima fila. Entusiasmo immediatamente inghiottito dall’ondeggiamento collettivo innescato dal ritornello di “Hanging”, che diventa pogo su “Ban All the Music”, il brano più rock del disco, giustamente posto a chiusura di un live davvero soddisfacente e che dimostra come ai Nothing But Thieves, a differenza di quanto non accada ultimamente a band ben più blasonate, non manchi proprio niente: bei pezzi, tecnica, energia, attitudine e quel pizzico di follia che non guasta mai.