Quintorigo – Bologna, 14 gennaio 2016

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Il Vangelo di Hendrix secondo i Quintorigo. Al Bravo Caffè di Bologna, giovedì 14 gennaio 2016, il quintetto per archi, sax e voce declina con competenza e passione pagine di musica per noi sacra e sacrale, rispettando gli originali anche quando li rimescola, facendone materia propria, dimostrando ancora una volta di più la genialità del chitarrista e compositore di Seattle, che qualche critico ha paragonato, non senza ragione, a Mozart e Beethoven. Di più, dalla sua, Hendrix ha anche la poesia dei testi, il valore letterario di versi scolpiti con efficacia: “Scusatemi, mentre bacio il cielo” (“Purple Haze”).

I Quintorigo, che già hanno rivisitato Mingus e Zappa, con Hendrix compiono un’altra operazione ardita e intelligente, usando gli archi elettrificati (il violoncello di Gionata Costa, il violino di Andrea Costa, il contrabbasso di Stefano Ricci) come fossero la chitarra distorta e lancinante di “Star Spangled Banner”, l’inno woodstockiano che apre il concerto mentre sullo schermo scorrono immagini di guerra nel Vietnam. Poi, quando sale sul palco Morris Pradella per “Purple Haze”, l’incanto è completo perché la sua voce ha lo stesso timbro di Jimi, le tonalità calde e ruvide al tempo stesso. Scorrono rapidamente pagine indimenticabili, da “Hey Joe” a “Manic Depression”, da “Voodoo Chile” a “Spanish Castle Magic” a “Wind Cries Mary” (cantata insieme ad un Hendrix virtuale, ma vicino) in un viaggio condotto con maestria dagli strumentisti, con l’esuberante sax di Valentino Bianchi che cita Ellington e Coltrane.

I classici di Hendrix sono materia incandescente e magma puro, come in una bollente versione di “Red House”, bluesone caldo e sudato. Il picco più alto del concerto viene raggiunto dalla melodia delicata di “Angel”, con la voce di Pradella che però viene coperta un poco da violino e sax, mentre non avrebbe guastato sentirla nella sua purezza, con un background lieve di violoncello e contrabbasso. Ma i Quintorigo sanno il fatto loro e trascinano pian piano il pubblico nel maelstrom hendrixiano, tra sprazzi di free jazz e armonie ardite, pompando sui loro strumenti “come ciclisti gregari in fuga” per dirla con l’Avvocato di Asti. Da brivido la resa di “Third Stone From The Sun” con il suo andamento tra psichedelico e orientale, tra accenni di bossa nova. Con i Quintorigo la musica prende sempre direzioni imprevedibili e in un solo da manuale Stefano Ricci al contrabbasso infila “Little Wing” e una selva di citazioni hendrixiane difficili da individuare.

Finale incandescente, con “Foxy Lady”, “Fire” e Gypsy Eyes” che esaltano ancora il groove di Pradella. Nel bis, spazio ad una suggestiva versione di “Heroes” con Morris che cambia timbro e omaggia un altro genio, ripartito per Marte qualche giorno fa. Si esce satolli, con le orecchie ancora piene di ottima musica composta ormai quasi mezzo secolo fa, ma sempre più moderna.

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