E’ difficile. Quasi impossibile.
Recensire…spiegare…descrivere ciò che è successo ieri all’Arena di Milano è davvero arduo….
Proviamo con ordine.
Arrivo alle 18.40, mi trovo fuori con Ricky e dopo una birra presa dal paninaro con il Track più pimpato della storia, che mandava nell’aere musica che risvegliava in noi ricordi ormai sopiti del periodo techno anni ’90 (Dancing With An Angel su tutte) decidiamo che è l’ora ed entriamo.
L’arena si presenta molto più grossa di quanto me la ricordavo, il primo pensiero è stato “ma quelli la dietro come fanno a vedere…o a sentire??”
Tipica mossa all’italiana: per avere i Radiohead devi promettere mari e monti e i promoter pur di farli suonare (leggi: pur di incassare) fanno le cose veramente male: per tutta la “curva sud” dell’arena, l’unico modo per godere del concerto era un “megaschermo” che assomigliava al monitor di un iMac e un diffusore appeso sopra di esso che neanche all’oratorio, cose che durante il live faranno fischiare i poveretti dietro in piccionaia…e a ragione.
Troviamo posto in mezzo alla gente sulla destra, a metà tra il mixer e il palco e all’improvviso, quando il sole è ancora lì nel cielo i Radiohead fanno il loro ingresso.
The Reckoner.
15 Steps.
National Anthem.
All I Need.
Nude.
Dire che Thom sia un genio della musica è banale….ammettere che potrebbe sedersi a tavola con Jim Morrison e Kurt Cobain un pò meno. Dire che probabilmente anche John Lennon lo inviterebbe a cena è qualcosa di troppo. Ma invece no. Lui è li, che non sbaglia un falsetto, non sbaglia una nota e dà l’anima, e il popolo davanti a lui lo fissa quasi fosse un magnete, non puoi smettere di ascoltarlo ne di osannare tanta bellezza. E poi quando attaccano con Airbag l’arena scoppia sulle note distorte dell’inizio, quasi come se fosse assurdo che dopo tanta intimità la band proponesse un pezzo così rock.
The Gloaming.
Dollars & Cents e poi l’accoppiata Wierd fishes/Arpeggi.
Faust Arp.
A questo punto io ero già certo che i Radiohead mi stavano regalando il concerto più bello della mia vita. Senza esagerare e senza scherzare. Thom sembrava essere la voce di dio che riesce a toccare l’anima e chiunque fosse presente sul prato poteva sentirlo.
How to disappear Completely.
Jigsaw Falling Into Places.
E’ passata un’ora e nessuno lo sente, sembra iniziato da pochi minuti eppure sono tutti li a ballare e a provare qualcosa di nuovo…quasi…un’emozione sopita da concerti overprodotti e troppo commerciali, quasi come se ormai sia tutto scritto, preparato e asettico…ma invece ci pensano loro 5, i Radiohead che cambiano scaletta ogni sera, che salgono sul palco e ci mettono l’anima.
A Wolf at the door.
Videotape.
Milano è ipnotizzata dai giri di basso, concentrata sui colpi sincopati della batteria, dalle pazze chitarre e da quella voce, e quando sembra che non esista modo di migliorare la serata arrivano Everything in it’s right place, Idioteque e Bodysnatchers.
Nulla potrebbe andare meglio, nessuno chiede suona quello o questo, son tutti in silenzio in attesa del bis, tutti in attesa, quasi come se si toccasse il cielo con un dito, che tutto fosse più chiaro, che il mondo fosse più bello.
House of Cards.
There There.
Bangers n’ Mash.
Quest’ultima quasi uno schiaffo alla discografia: volete una nuova Creep? Eccovela. Riff di chitarra semplicissimo, 2 batterie e ritmo up tempo.
A questo punto il pubblico ormai assuefatto da quei suoni digitali ma estremamente caldi, da quell’elettronica mischiata da chitarre e batterie che solo i Radiohead hanno saputo amalgamare arriva la sorpresa: Just.
Esplosione dell’Arena, tutti a saltare e a cantare a squarciagola.
The Tourist
Secondo bis,pausa più breve.
Go Slowly.
2-2=5, con tutta l’arena che sembrava concentrata in tutta la parte iniziale lenta e riflessiva e che sembra finalmente capire l’esplosione finale con l’energia del gruppo con Tho, insieme al suo pubblico che canta “you have not been paying attention”.
La serata è perfetta.
Ma è quando ci salutano con Paranoid Android che capisci che i Radiohead sono l’ultimo gruppo di una schiera che annoverava nella storia i Beatles, i Doors, Jeff Buckley, i Nirvana…
Non esiste più confine tra loro e il mito.
La parte centrale della canzone, “Rain down….rain down on me” sembrava quasi un Halleluja.
Ed è qua che parte la riflessione: che cosa cambia tra partecipare ad un concerto così ed andare in chiesa? La spiritualità emersa ieri era è qualcosa di inspiegabile, Thom sembrava un predicatore, un uomo illuminato, una persona carismatica pur essendo fragile.
Immensi radiohead, porterò per sempre questo concerto nel cuore…come il sorriso del ragazzo inglese che alla fine del concerto rincontra un suo amico con un sorriso di beatitudine immensa e gli dice “it was fucking incredible…” quasi come se fosse sorpreso dal trovare tanta bellezza in un concerto di un gruppo rock.
Senza alcun dubbio il più grande gruppo rock che ci sia oggigiorno.
Grazie a Davide Giordano