I Red Hot Chili Peppers si sono esibiti martedì 20 giugno 2017 al Centre Bell di Montreal (Canada), una delle ultime date del loro lungo tour nordamericano. E, citando lo Stato Sociale, pur non apprezzando molte delle cose fatte negli ultimi vent’anni “li vado a vedere comunque perché ci vuole un giudizio rotondo e completo”. E sì, confermo l’opinione che ho nei loro confronti: nel 2017, i Red Hot Chili Peppers sono una delle band più sopravvalutate del mainstream musicale.
Sia chiaro, dal vivo sono dei carrarmati e sezioni ritmiche come quelle composte da Flea e Chad Smith non ce ne sono in giro; sugli altri due è risaputo che in realtà Josh Klinghoffer è un cartonato messo là per puro caso nel 2009 dopo la dipartita di John Frusciante mentre Anthony Kiedis alla voce si è comportato in maniera più che dignitosa. L’impressione è che la band sia lì per fare il compitino e basta, senza alcuna spinta di entusiasmo o sorpresa: il loro concerto è di fatto un pacchettino costruito ad hoc per il fan medio che li segue dal Terzo Millennio e che ha recuperato “Californication” e “Blood Sugar Sex Magik” giusto perché sono i due lavori più famosi. E per spiegare ciò basta un semplice aneddotto: la cover di “Fire” che, non molti anni fa, fu la colonna sonora dell’incendio di Woodstock 1999 e qui accolta in maniera fredda da un pubblico che, invece, ha accolto calorosamente una piatta “By The Way”.
La scaletta proposta nella città più importante del Quebec è breve, cosa che ha spesso caratterizzato i concerti dei californiani: anche se fai improvvisazioni con le quali dimostri di saper suonare, sedici pezzi in poco più di 90 minuti sono comunque pochi. E sono pochi anche perché di fatto coprono solo gli ultimi 18 anni di carriera (tre quarti della scaletta arriva da “Californication” in avanti), relegando il periodo precedente alla già citata “Fire” (fun fact: è su “Mother’s Milk”) e quelle bombe atomiche chiamate “Suck My Kiss” e “Give It Away”. Dispiace dirlo, ma tra il materiale più recente e quello più datato il divario è enorme, e lo si percepisce soprattutto in sede live: singoli come “The Adventures of Rain Dance Maggie”, “Snow” e “Goodbye Angels” sono riusciti ma se pensi a ciò che hanno fatto in passato questi tre ti chiedi se, in realtà, tutto il post “One Hot Minute” sia un voluto andare avanti con il freno a mano tirato.
E non basta una produzione essenziale ma contemporaneamente riuscita (un palco spoglio ma con delle candele, piazzate sopra la platea, che si muovono in maniera coreografica a seconda del pezzo) per salvare la baracca: i Red Hot Chili Peppers del 2017 sono una band senza stimoli. Sia chiaro, se adori “Stadium Arcadium” o “By The Way” questo sarà il concerto della tua vita (arriveranno in Italia tra poche settimane); ma se ti aspetti uno show con guizzi di genio, mi dispiace, ma sei sulla cattiva strada.