Diciamo subito che tra le dieci band che affollavano il bill gli indiscussi protagonisti sono stati i Flogging Molly, i Gogol Bordello e i Pogues; ovvero gli esponenti del folk in ogni sua forma. Non fosse stato per la cornice inadatta, tutte e tre le esibizioni avrebbero guadagnato molti più punti, peccato.
Andando con ordine, i milanesi Andead propongono un punk-rock che non lascia molto spazio all’innovazione, ma si fanno comunque apprezzare dai fedelissimi delle prime file. Il power trio britannico dei The Subways alla sua prima uscita in territorio italico ci dà dentro come pochi, con il vocalist e chitarrista Billy Lunn che incita la folla salendo sugli amplificatori e la bassista Charlotte Cooper che non smette di muoversi; l’impressione finale è di un gruppo con ottimi margini di crescita.
I Gaslight Anthem provocano sonnolenza a non finire con le loro melodie fin troppo intimistiche, adatte piuttosto per i cori attorno ai falò; decisamente fuori luogo in una giornata all’insegna dell’energia e del movimento.
Gli All-American Rejects con il loro emo rock provocano reazioni contrastanti, ma hanno dalla loro un mixaggio perfetto che fa guadagnare loro molti punti a dispetto del genere, non completamente apprezzato dai convenuti.
Finalmente con i Flogging Molly si inizia a fare sul serio: per la prima volta nella giornata la platea si riempie nella sua interezza (inclusi anche alcuni settori delle gradinate) e grazie alla musica folk-punk altamente evocativa dei sette americani la gente inizia a saltare e muoversi. La simpatia, il grande impatto visivo e la forza dei brani fanno della loro esibizione uno dei momenti migliori della giornata.
Anche i Gogol Bordello partecipano all’aria di festa che ormai si respira con il loro gipsy-punk; pur suonando un genere molto simile a chi li ha preceduti, i nove vagabondi hanno insita quell’attitudine ribelle e cazzona che evita un’inutile ripetizione di sonorità. Brani quali “Not A Crime” e la anthemica “Start Wearing Purple” fanno saltare e cantare tutto il PalaSharp.
Con gli storici Social Distortion avviene un cambio di pubblico: defluiscono all’esterno per una pausa molti di coloro che erano rimasti fino a quel momento, ed si accalcano tra le prime file tutti i punkettoni venuti per vedere i loro beniamini. Lo show offerto da Mike Ness e soci ripercorre tutta la gloriosa trentennale carriera, in cui vengono eseguiti tutti i pezzi di rilievo tra cui “Nickels And Dimes”, “Don’t Drag Me Down” e “Sick Boy”. Show da veri veterani che non sbagliano niente e offrono un punk rock di qualità, pur essendo un po’ troppo statici sul palco.
I Babyshambles si rivelano il vero flop del festival, in quanto registrano all’incirca lo stesso numero di spettatori dei gruppi di metà pomeriggio: non molto per chi suona immediatamente prima dell’headliner della serata. Ennesima riprova che non basta essere sulla bocca di tutti a causa (o grazie?) dei trascorsi da rockstar per avere successo, perché se la musica non convince, la gente (tranne qualche teenager urlante) ti snobba.
I Pogues vengono accolti da un PalaSharp nuovamente pieno sul parterre. A dirla tutta gli otto inglesi sembrano un po’ troppo immobili e provati dal tempo, ma al pubblico non sembra importare, e infatti la festa che si era interrotta dopo i Gogol Bordello riprende.
Un (come da prassi) alticcio Shane MacGowan parte bello carico, per poi iniziare a perdere colpi e aumentare le pause per riprendersi (e scolarsi qualche birra in più, ndr). “If I Should Fall From Grace With God” viene proposta quasi subito per la felicità dei presenti; il resto della band prende parte alla piacevole atmosfera che si è venuta a creare, senza mai strafare, ma tenendosi sempre su quel confine che divide anarchia e ordine. “Fiesta” chiude il sipario di questa prima giornata con il folk sugli scudi.
Nicolò Barovier