Royal Blood, il report del concerto di Milano del 29 marzo 2015

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Non serve la sfera di cristallo per prevedere quanto sarà roseo il futuro dei Royal Blood. In effetti basterebbe ascoltare il disco, o anche solo leggere un po’ gli elogi dei loro illustri colleghi. Oppure, per godere come mandrilli, si potrebbe prendere la beata decisione di andare a sentirli dal vivo e in Italia la prima occasione è stata quella del concerto di ieri sera, 29 marzo 2015, all’Alcatraz di Milano.

Il duo rock originario di Brighton ha percosso prima il Regno Unito e poi il mondo intero con l’omonimo album e con le incredibili performance nei festival estivi. Non può essere un caso che Jimmy Page – sia santificato il suo nome – si sia sbilanciato al punto da affermare che «porteranno il rock in un nuovo regno». E sentendoli in sede live risultano ovvie le ragioni che hanno portato Dave Grohl a volerli con i suoi Foo Fighters nel prossimo tour. Insomma, pochi giri di parole, i Royal Blood sono dei numeri uno e stiamo assistendo alla loro ascesa.
L’Alcatraz è pieno come un uovo per un sold out al limite del possibile, tanto che è difficile ricordare una prevendita così ardita nel recente passato dello storico locale milanese. Lo show è letale fin dai primi istanti, con il basso di Mike Kerr che non fa rimpiangere le chitarre e Ben Thatcher che si consuma le articolazioni alla batteria. Sono solo in due ma fanno baccano per cinque o sei, e pur pestando come dannati riescono a rimanere impeccabili. La scaletta rimane ovviamente inalterata rispetto a quelle delle altre tappe del tour e come da copione si parte con “Hole”, la tentacolare b-side del singolo “Little Monster”, per poi proseguire con l’ultimo singolo estratto: “Come On Over”. I volumi sono perfetti per le pretese della band e mentre il rullante fa tremare il locale, i riff di Kerr creano scompensi tra i sudatissimi delle prime file. L’insistente quesito è sempre lo stesso: ma davvero non c’è la chitarra?
Si concedono qualche pausa qua e là, giusto il tempo di scusarsi per lo show cancellato a novembre (per problemi di salute) e di lanciarsi nel consunto siparietto con la bandiera italiana, e tra il blues grezzo di “Blood Hand” e il riff magistrale di “Ten Tonne Skeleton” i due inglesi dissezionano il loro fortunatissimo disco e concludono con una versione estesa di “Out of the Black” la sontuosa cavalcata che li ha finalmente presentati al pubblico italiano.

Il concerto si chiude dopo circa un’ora dal suo inizio e considerando il materiale a disposizione non si poteva chiedere di più. Certo, avrebbero potuto tirar fuori qualche cover ammiccante (in quanti scommettevano nei Queens of the Stone Age?) e allungare il brodo come fanno molte band al primo tour, ma l’alchimia del set proposto è talmente buona da non necessitare di altro. Il power duo gongola, ormai conscio della strada spianata che lo divide dalla consacrazione.
Impossibile anche per i più cinici chiedersi “tra quanti album rovineranno tutto?“, quando l’unica domanda che rimbalza in testa è “tra quanti album porteranno il rock in un nuovo regno?“.

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