Ryan Adams sul suo profilo Instagram ha postato ben quattro foto della location dell’Anfiteatro del Vittoriale a Gardone Riviera. Una a palco vuoto durante il soundcheck, una della location in pieno svolgimento della serata, la tipica foto della setlist (guardare le sue scalette è come guardare lo specchio della sua personalità grottesca e straripante, piene di disegni cancellature, spostamenti e scarabocchi) e una della borsa in vendita al merchandising, come se nella serata di ieri si fosse accorto per la prima volta della sua esistenza, una borsa nera con la scritta viola sopra che professa ‘Se ti piace Ryan Adams ti piace il diavolo’. Un apprezzamento totale ed inusuale quindi che l’ha portato a questa sovraesposizione social strana, se si pensa al rapporto che ha con i dispositivi elettronici che verrà esternato durante la serata in uno dei moltissimi episodi sopra le righe di uno show imprevedibile come una bomba inesplosa di qualche guerra dimenticata.
L’Anfiteatro è una location ispirata e stimolante per una personalità che flirta con il lato oscuro, un monumento alla personalità egocentrica di D’Annunzio, alla sua sete di grandiosità intrecciata alla sua brama di isolamento, basti guardare gli strambi nomi delle varie parti che compongono il complesso tra cui quello della dimora mai completata dello scrittore con il nome bellissimo di ‘Schifamondo’. Arrivati nella parte occupata dall’Anfiteatro si viene accolti da un ambiente che già stride con l’idea che noi italiani abbiamo di concerto, peggiorata in questi ultimi mesi di questa sessione estiva incatenata dalla paura del terrorismo. L’impressione di un posto blindato che ti isola e divide dal mondo e dai tuoi comfort, l’idea di essere ostaggio dell’organizzazione per il tempo di un evento che dovrebbe essere di svago e invece diventa una sorta di sogno agitato e sudato dal quale ti svegli stanco e insoddisfatto. Qui invece l’atmosfera è di accoglienza svagata e rilassata, dove tutto è lasciato al servizio del pubblico.
È tutto pronto in attesa di servire l’amante della musica al calare della luce con la splendida vista del Lago di Garda e la valle circostante alle spalle del palco, che sta lì buono come un gigante che fa la siesta in attesa di destarsi e ruggire. Entrati nell’ambiente ai piedi dello stage è tutto in bella vista, la strana scenografia di Ryan è in bella posa per fotografie e commenti. Ama i felini il musicista di Jacksonville, ed infatti sul palco parecchie coppie di lucenti bulbi oculari plastificati guardano serafici la folla adorante durante tutta la serata. Tigri di peluche di tutte le dimensioni disposte una ai piedi delle casse del chitarrista, una dalla batteria e una dal piano. A sovrastare gli amplificatori un gatto di legno, che come una specie di divinità egiziana, custodisce la band durante la sua esibizione pronta a traghettarla poi in chissà quale altra dimensione.
Le luci si accendono e Ryan entra sparato come un missile con un rumore e un rock di un’energia che non ti aspetti se lo conosci solo nella sua dimensione da studio. Sul palco invece imbraccia la chitarra e si muove come un consumato rocker che mangia la scena e sputa note con rabbia e passione. L’organizzazione ammonisce il pubblico a non usare per nessuna ragione il flash dei telefoni e macchine fotografiche, perché a causa di una strana sindrome Ryan ne soffrirebbe immensamente e il concerto finirebbe nel peggiore dei modi. C’è una strana tensione aleggiante fin da subito riscontrabile negli occhi della sua crew, come se fossero consapevoli del fatto che Ryan è un’anima instabile pronta ad esplodere in qualsiasi momento. E così è stato infatti, potete scommetterci. Ma andiamo con ordine.
Come ho detto Ryan irrompe con la sua band e corre a tutta birra, con “Do You Still Love Me?” schitarra prepotentemente un sentimento di abbandono di cui non riesce a liberarsi, prosegue con la decisa “Give Me Something Good” e proponendo il suo ultimo album in studio con “Prisoner”, “Outbound Train” “Doomsday” e la b-side (è uscito un intero album di b-side di “Prisoner”) “Juli”, una perla che risulta difficile immaginare come scarto.
Ryan Adams pare chiuso e impacciato nel lasso di tempo che intercorre tra una canzone e l’altra, ringrazia bofonchiando e sussurrando cose incomprensibili con il volto perennemente e completamente coperto dal ciuffo di capelli, un muro invalicabile che però non gli impedisce di guardare quello che succede davanti a lui. Ci vede eccome, e lo dimostra dopo le prime note della bellissima “When The Stars Go Blue” quando improvvisamente interrompe tutto con un accorato “stop, stop”, e il pubblico ha visto montare una furia inquietante nei nervi del cantante. Indica qualcuno in prima fila e gli intima di mettere via il telefono. “Non sono una fottuta app, questa è vita reale, se devi vedere tutto il concerto al telefono allora alzati e lascia il tuo posto in prima fila ad un vero fan“, esclama avvicinandosi minaccioso e iroso. Riprende il pezzo e la qualità della performance non ne risente, ma il pubblico è pronto a questo punto ad aspettarsi di tutto, e ha ragione. Da lì in poi la serata sarà una specie di viaggio ai confini della realtà con la colonna sonora migliore immaginabile. I felini di peluche continuano immobili a guardarci, come ad ammonire a stare buoni e tenere quei telefoni in tasca, per la miseria.
Ryan esce attraverso la rabbia dal suo guscio e comincia a scherzare con band e spettatori, sempre suonando una canzone dietro l’altra in un set che sarà lungo ben oltre le venti canzoni e pieno di sorprese e ribaltoni. Il momento acustico ad esempio previsto per fine concerto viene anticipato a seguito di una richiesta insistente da qualcuno del pubblico nelle ultime file della tribuna numerata. Questo urla a gran voce “English Girl!” e Ryan ci scherza su dicendo che dal palco le cose si sentono in maniera strana, che solo tu puoi capire quanto le voci della folla risultino strane e distorte, dicendo di aver capito due parole: “Walter Grey”. Non accetta puntualizzazioni, ha sentito Walter Grey. Allora inizia a suonare un blues stupendamente improvvisato accompagnato dalla band che racconta le gloriose gesta di questo inesistente Walter Grey, confezionando un pezzo su sue piedi che farebbe le fortune di qualsiasi album folk. Una volta finito, ecco di nuovo la voce “English Girl!”. Ryan dopo essersi complimentato con lo sconosciuto fan per il tempismo dei suoi interventi, decide di premiarlo suonando il pezzo fatidico “English Girl Approximately” dall’album “Love Is Hell” solo voce e chitarra acustica, una performance intima e perfetta interrotta solo un momento per grattarsi una puntura di zanzara. Finita la canzone ecco un altro sfoggio di perfetto tempismo dello sconosciuto “Thank you!”, che fa sorridere tutti i presenti, Ryan compreso.
Una guerra quella contro gli insetti che Ryan intraprende con foga inusuale coinvolgendo tutto il pubblico, offrendo alle prime file uno strano spray anti-zanzare del quale tesse le lodi da perfetto testimonial: “Non so cosa ci sia dentro ma funziona, non bevetelo. Magari fumatelo, tutto si può fumare (risata sorniona)”. Chiama addirittura i poliziotti fermi all’entrata all’intervento contro gli insetti (che chiama “bugs”), indicandoli e sgranando gli occhi quando vede che sono distratti perché al telefono: “Incredibile, guarda (indicando la sua precedente vittima per lo stesso motivo) sono tuoi soci, state comprando qualcosa insieme su Ebay? Se nel 1999 (chissà perché proprio questa data) mi avessero detto che tutte le persone nel futuro avrebbero camminato guardando i loro telefoni gli avrei riso in faccia, come la prima volta che mi han fatto vedere un Game Boy, ho detto, hey, è la televisione più piccola che abbia visto!”.
L’analogico è il protagonista della scenografia di Ryan, basti pensare che al posto dei led sul palco c’è una piramide di televisori con tubo catodico accatastati dietro il batterista che proiettano per tutto il concerto immagini di strade, paesaggi e bombe atomiche in piena esplosione. Al posto della macchina del fumo ha dei pentoloni che espellono incenso a tutto spiano. In questa atmosfera grottesca si svolge il lunghissimo set da più di due ore, che alterna bellissime ballate come “I See Monsters”, incastonata dentro una allungatissima “Cold Roses”, “Everybody Knows” dall’album “Easy Tiger” e la nuova bellissima “To Be With You”, cavalli di battaglia che hanno entusiasmato chi lo segue da anni come “Halloween Head” e “Shakedown On 9th Street”.
Il fan misterioso che ha gridato la sua richiesta poi accontentata è stato chiamato sul palco da Ryan ma non si è presentato, anche se il cantante lo ha rassicurato che non gli avrebbe fatto male. Precisazione opportuna e necessaria, perché da un artista del genere ti aspetti la dolcezza più avvolgente ma anche la rabbia più funesta. Un artista padrone del suo destino in tutto e per tutto, che non guarda in faccia nessuno, solo il rock.