Ryan Bingham, il report del concerto a Bologna del 7 ottobre 2015

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Mercoledì 7 ottobre 2015 Ryan Bingham si presenta al Locomotiv di Bologna con la piuma sul cappello da cowboy e mette subito le cose in chiaro. “Siete pronti per una serata di rock and roll?”. Il pubblico, scaldato a dovere dai volonterosi fratelli Sons of Bill e dal loro country obliquo, risponde in coro: “Yeah”.

Pronti, via e Bingham fa esplodere subito la sua macchina da guerra, in versione full band. Il suo è country rock rotolante e caldissimo, percorso dalle scariche elettriche provenienti dall’altra chitarra di Daniel Sproul che duetta spesso con il violino dell’anziano Richard Bowden, come in una torrida, rollingstoniana “Top Shelf Drug”. Questa formula sincera, perfetta, consente a ballate intimiste di scivolare in sfrenati reel che spingono al movimento e così Ryan può sciorinare le sue “pene d’amore ballabili” come in “Nobody Knows My Troubles” o “Broken Heart Tattoos”, dall’ultimo album, “Fear and Saturday Night” trasformata in una lunga cavalcata elettrica. Lui ha spesso dichiarato di cantare la vita così come viene, senza inventare. E il risultato è una musica che arriva al cuore, come quella di Steve Earle o del migliore Tom Petty, con quella voce di carta vetrata che racconta di polvere e sudore. La band lo segue a meraviglia e la sezione ritmica pompa a dovere, i cinque ci danno dentro e un breve set acustico, con soli chitarre e violino, a metà concerto, è la dimostrazione di un perfetto equilibrio tra rock viscerale e intimismo, tipico solo dei grandi.

Bingham ha scritto insieme a T-Bone Burnette una canzone da Oscar, “The Weary Kind”, per il film “Crazy Heart” con Jeff Bridges, ma anche una manciata di album ricchi di sincerità, pathos e dedizione. Non è una star costruita a tavolino, ma un musicista nel pieno della sua maturità che sa regalare emozioni e con lui il country e quel genere che oggi chiamiamo “Americana” hanno trovato un più che degno rappresentante, sulla scia di modelli dichiarati come Bob Dylan, Joe Ely, Townes Van Zandt.
Richiamato a gran voce sul palco dopo un’ora e mezza di ballate e sfuriate rock, il nostro ricompare solo con la sua chitarra, eseguendo tra l’altro la premiatissima“The Weary Kind” e una “broken down version” di “Malaguena” insegnatagli da un musicista mariachi quando aveva diciassette anni in New Mexico. E poi di nuovo con la band, soffiando nell’armonica, a tirar fuori rock blues rugginoso e pimpante (“Sunshine”), duellando a colpi di slide con Sproul. Se c’è un filo di speranza per il rock del vero sentire, in mezzo a tanta musica di plastica, si chiama oggi Ryan Bingham.

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