Quest’anno sono venuta allo Sziget per delle ragioni ben precise: una di queste ragioni risponde al nome di Sia.
Non sono mai stata una grande fan, anzi: tutto quel mistero intorno alla sua persona, il volto nascosto, la parrucca, mi hanno sempre fatto venire in mente una parola che non mi piace molto quando è legata alla musica, e quella parola è marketing. E se vogliamo proprio dirla tutta a me “Chandelier” nemmeno piace. Sì, ci ha fatto conoscere la potenza vocale di Sia, ma non credo di averla mai ascoltata di mia spontanea volontà.
Poi qualche mese fa è uscito “This Is Acting“, l’ho ascoltato come faccio con qualunque disco veda la luce e bam! Amore folle. La curiosità di vederla dal vivo mi stava davvero mangiando il cervello, e se sei una persona che vive sull’Internet e che quindi, almeno una volta nella vita, ha digitato Sia nella barra delle ricerche di Youtube, di certo non ti aspetti che lei interagisca con il pubblico, che urli frasi tipo “Ciao Budapest sei stupenda!”. Tutte le sue performance, e penso ai programmi tv più famosi oltreoceano tipo il Jimmy Fallon, hanno sempre visto una Sia di sfondo, con il volto coperto, immobile. La sua voce è l’unico aspetto di lei che deve interessare a chi la sta guardando e ballerini/attori sono i veri protagonisti del palco. Ieri sera è stata la stessa identica cosa: Sia se ne sta relegata in fondo al palco mentre Maddie Ziegler (la ballerina-doppelgänger della cantante) si dimena sul palco. E non è l’unica, arriva Paul Dano, arriva Kristen Wiig, e ballerini, ballerini, e tutto diventa improvvisamente più uno spettacolo di arte contemporanea che un normale concerto. Pensi solo “WOW, ma cosa sto guardando?” e tutto ti ipnotizza. Il collegamento che il mio cervello ha fatto è stato Jay-Z e Marina Abramovic, quando la musica si fonde con l’arte, quando il concerto non è più solo mera esecuzione.
Se non fosse che, dopo l’eccitazione iniziale, arriva la batosta: è tutto finto. Né Maddie Ziegler, né Paul Dano né Kristen Wiig sono davvero sul palco. È tutto pre-registrato. Chi siano quelle persone sul palco non lo so, però giuro che qualcuno c’era, no, non li ho sognati, degli umani danzanti si dimenavano mentre Sia cantava!
La verità di base, quindi, è che io il concerto di Sia non l’ho mica capito. Nessuno dice che non si possa ricorrere a degli espedienti, insomma, provateci voi a portarvi quei tre personaggi lì sempre in tour (nota: Kristen Wiig è una delle protagoniste del nuovo Ghostbusters, quindi forse qualche impegno in calendario ce lo ha segnato), però allora che senso ha? Se basi uno show più sugli altri che su te stessa e gli altri in realtà non sono lì, che scelta assurda è? Penso a “Lemonade” di Beyoncé: se Sia pubblicasse un corto, io lo guarderei, perché so bene che è un’artista più alla Lady Gaga che alla Britney Spears, è più arte che sculettamenti. Ma Beyoncé dal vivo mica ha proiettato tutto “Lemonade”, Beyoncé ha estratto pezzi di “Lemonade” per riportarli sul palco, dal vivo. Era questo che volevo vedere ieri sera, e non l’ho visto.
Di solito, quando non riesco a capire se la voce che sento è live o in playback, faccio un sorriso perché vuol dire che di quell’artista ho talmente tanta stima che potrebbe essere così bravo da sembrare davvero identico al registrato. Ieri sera, invece, era tutto così finto, così artificioso, così costruito (bene, per carità) che ancora oggi non sono sicura che fosse lei a cantare, anzi, non sono nemmeno sicura che fosse lei su quel palco. In fondo con una parrucca che lascia scoperta solo la bocca potrebbe essere chiunque, potrei fare lo scoop e dirvi che in realtà quella sul palco ero io. Solo “Reaper” e le finali “Titanium” e “Chandelier” mi hanno dato l’impressione di essere live, il resto sembrava un bel film proiettato al cinema all’aperto.
Quando vado a un concerto pop so bene che sarà un insieme di cose. Ho visto dal vivo Beyoncé, Madonna, Robbie Williams, in Italia lo stesso Jovanotti ormai è su quella scia. Lo show è completo, i visual hanno quasi più importanza della musica stessa. Ma non può essere solo quello.
Finito il concerto inizio a interrogarmi e mi perdo nei meandri. La verità è che le domande che ho io nella testa se le sono già poste in tanti (praticamente tutta la stampa musicale internazionale, buongiorno Denai) dopo il Coachella, colpa mia che mi sono fatta sfuggire un così succulento argomento di conversazione per pensare alla faida Calvin Harris – Taylor Swift. Tutti hanno elogiato uno spettacolo diverso dal solito, che indubbiamente ti cattura, hanno lodato la capacità di Sia di fondere più arti insieme con quella che – a prima vista – sembra semplicità. Ma basta davvero spostare gli occhi dal maxischermo dal palco vero per rendersi conto che sono due mondi per separati. Come le due parti della sua parrucca: sono sulla stessa testa, ma sono ben distinte. Sullo schermo c’è quello che vorresti vedere sul palco, sul palco c’è quello che non c’è sullo schermo. E allora a quel punto sul palco potevi non salirci proprio.
Non c’è niente di peggio del sentirsi presi in giro. Cinquanta minuti CINQUANTA di show, per un’headliner, sono vergognosi. Non mi interessa se è una performance di arte e non un concerto in sé, John Newman alle cinque del pomeriggio ha suonato un’ora e venti, Robbie Willams, uno degli headliner dello scorso anno, due ore. Non prendiamoci in giro: la lunghezza conta.
Il mondo della musica, soprattutto quello della musica pop, è un mondo di plastica, lo sappiamo tutti molto bene. Un mondo dove tutto è calcolato nei minimi dettagli, dove vendi la tua faccia e la tua persona per fare cassa, è il music business, baby. Io al mondo del pop mi ci sono avvicinata tardi, quando ero già grandicella. Da sempre po’ mi manca il mondo del punk rock in cui tutto è esattamente come sembra, in cui non c’è bisogno di stupire a tutti i costi, di dimostrare di essere la regina del tuo settore alzando l’asticella a ogni tour. Da ieri sera quel mondo mi manca ancora di più. Non mi interessa più vedere la perfezione se quella perfezione poi non è reale, non mi interessa più tutto il carrozzone intorno a quello che io voglio ascoltare. Voglio la verità, voglio il contatto con il pubblico che ha pagato per essere lì con te, voglio più carne e meno plastica, più sudore e meno lustrini. La domanda finale che pongo, quindi, è: quand’è che la smetterete di pensare che siamo tutti scemi? Quand’è che la smetterete di prenderci in giro? Da quand’è che ci accontentiamo della finzione solo perché è bella? Può essere bella anche la realtà, soprattutto se sei una che canta così, il resto non ti serve.
Sia ha una voce meravigliosa, questo io ieri era l’ho capito. Mi dispiace solo essere stata distratta da un qualcosa che non era nemmeno reale. Come quando sei a dieta, vai in pizzeria, i tuoi amici mangiano la pizza e tu ordini l’insalata. Ci puoi provare a fare finta che la lattuga abbia il sapore della mozzarella fusa, ma la verità è un’altra. La verità è che Sia poteva spettinare tutti e invece ha preferito mentire. E cosa vuoi che Sia, passerà anche questa. Io, nel dubbio, continuerò a pensare che la regina del pop sia Beyoncé. E usare “sia” come verbo per paragonare le due artiste sì, è una scelta ben ragionata.