Chiamati a dimostrare che la loro reunion trascende il trend degli ultimi anni, gli Skunk Anansie calcano il palco di un Palasharp tutto esaurito per supportare anche dal vivo il best of “Smashes & Trashes” e riprendersi il proprio pubblico, abbandonato anni fa fa. La risposta? Dieci anni fa l’Italia li amava. Dieci anni dopo li ama ancora.
Skin, Ace, Cass (che bassista, che bassista…, ndr) e Mark affidano il loro ingresso a “Selling Jesus”, seguita senza sosta dalla maestosa “Charlie Big Potato”, attesa ben oltre la metà dello show e quindi accolta con un boato di sorpresa.
Skin: il lupo perde il pelo, la pantera neanche quello. Carica, eccitata, rock nel vero senso della parola. Bellissima quando si lancia sul pubblico continuando a cantare, quando salta dalla grancassa di Mark, quando imbraccia l’acustica per suonare il nuovo singolo “Squander”, ballata intima sulla scia di “Secretly”, anche questa immancabile e cantata a squarciagola da un pubblico soddisfatto e commosso. “On My Hotel TV” e “Tear the Place Up” sono due schiaffi in faccia all’audience, che salta e si lascia invadere dalla vena più rock del combo inglese.
La band ci mette il cuore e si vede dal primo all’ultimo brano, concedendo due ritorni sul palco (“Little Baby Swastika”e “You’ll Follow Me Down”), al pari dei due stage diving di Skin e dei due guasti all’impianto che hanno interrotto “I can dream” e “Twisted (everyday hurts)”, rendendo il tutto ancora più particolare e vero. Complimenti agli Skunk Anansie per la reazione positiva ai problemi tecnici. Si vede che l’armonia è davvero tornata e che suonare dal vivo…è nuovamente un bisogno artistico, e non solo un mestiere.
Una menzione particolare va fatta ad un nuovo brano “I don’t wanna kill you”, che fa presagire un futuro roseo e ispirato per la band, più rock ed aggressiva che mai. Un concerto riuscitissimo, un affetto riconquistato e un domani che suona già come una garanzia. Come recitava uno striscione lanciato sul palco: Welcome Back.
Riccardo Canato
Il successo degli Skunk Anansie in Italia, terra di canzonette, resta a distanza di anni uno dei grandi misteri dell’era moderna. E il mistero si alimenta quando vedi il pubblico del Palasharp accogliere con boati assurdi pezzi come “Selling Jesus”, “Twisted” e “Little Baby Swastikkka”, canzoni che sarebbero più accostabili a un’audience più vicina al rock pesante underground piuttosto che alle masse.
Skin, Cass, Ace e Mark Richardson sono tornati, il rock li aspettava da quasi dieci anni e loro puntano a restituire con gli interessi quest decennio dedicati a progetti paralleli, carriere da insegnanti di musica o a passioni extramusicali (la fotografia per Cass): la prima rata per i fan italiani è questa data in un Palasharp pieno oltre il limite di guardia nel parterre e stracolmo anche sugli spalti. Un live memorabile, nel quale una gran parte dei pezzi che hanno fatto la storia della seconda metà degli anni Novanta sono stati riproposti con perizia, carisma e un gran tiro. Uno show non esente da difetti: a partire dai due blackout durante “I can dream” e “Twisted” (proprio i miei due brani preferiti della band… ndNL), arrivando ai suoni che penalizzano il basso di Cass e a una Skin che canta “Selling Jesus”, canzone di apertura, in maniera deludente per la prima metà. Delle piccole macchie di un concerto che resta, a scanso di equivoci, memorabile.
Nicola Lucchetta