Slash ft. Myles Kennedy – Atlantic City (New Jersey) 22 maggio 2010

Settemila e passa chilometri, dodici ore di aereo, controversie varie col GPS che proprio non ne vuole sapere di condurci al sospirato Borgata Hotel Casino, ma alla faccia delle difficoltà, eccoci di nuovo a respirare la stessa rocking air di Mr Myles, Alter Bridge, Kennedy e del più blasonato Slash!

Di ritorno dal viaggio negli States, la nostra Anna Di Sarno torna sulle pagine di Outune per raccontarci l’avventura recentemente vissuta dall’altra parte del mondo. Eccola in tutta la sua spontaneità anticiparci qualcosa che vedremo al Rock Im Park e poi a Milano. Leggete fino alla fine, le sorprese non mancheranno…

Arrivo al Borgata di mattina con ancora nel cuore la voce di Eddie Vedder (ieri eravamo al Madison Square Garden per un mega concerto dei Pearl Jam, ndr). Appena messo il naso in tanto sfarzo,  lusso ostentato, luci e suoni di una location ai limiti dell’assurdo, ci dirigiamo presso il desk del Music Box, singolare venue situata tra slot machines, tavoli da gioco, giocatori d’ogni genere ed età. Il desk è ancora deserto, noi avremmo appuntamento con tale Mr. Stevenson per l’accesso al sound check e conseguente chiacchierata col nostro Myles Kennedy, passano delle ore e…nulla di fatto, arriva una tizia che ci informa del fatto che Slash sarà impegnato fino a poco prima dello show a New York per un programma radiofonico, Kennedy non è ancora arrivato, alla fine ci liquidano con un “vi faremo sapere” che si trasforma poi in un sonoro “vaffa…” da parte nostra a tutta la disorganizzazione Borgatara!

Attendiamo, consumiamo i marmi luccicanti del casino col nostro andirivieni, alla fine demordiamo ma entriamo, per grazia ricevuta, qualche minuto prima degli altri insieme ai fotografi, in una location semi deserta, strana, atipica, di sicuro non consona ad un concerto rock. Non c’è traccia di Kennedy o Slash, girano per la sala Schneck, e Fitz, i tecnici stanno ancora sistemando strumenti, cavi, a noi non è permesso fare foto o video, non prima dell’inizio dello show. Una noia mortale scandita dalla meraviglia per questo posto inconsueto, tutti posti a sedere, numerati, insomma, poco più di un cinema di periferia con interni di lusso, mille posti a sedere per mille fortunati nostalgici dei vari Guns, Velvet, Snakepit.
Noi siamo momentaneamente mischiate ai fotografi, ci dicono che possiamo scattare qualche foto, e poi dobbiamo uscire fuori, o meglio, dovremmo, perché, certo, chi vuoi che ci cacci fuori dopo aver attraversato l’Oceano? Nessuno! L’attesa non è lunghissima, giusto il tempo che tutti siano dentro, seduti e ordinati e calano le luci.

Le 21:00 circa, buio in scena, nella semioscurità vengono fuori Slash e il resto della band, ancora non si vede Kennedy! Si comincia con “Dirty Little Thing”, Velvet Revolver. Maestro Slash mostra tutta la sua classe alle primissime note, poi eccolo, dalla penombra sbuca Myles Kennedy, ed è il panico! E’ panico per una manciata di irriducibili alterbridgiani! La primissima sensazione è che quello che si agita dinanzi ai nostri occhi non sia l’ometto di “Blackbird & co.”, la sensazione è di trovarsi davanti uno che ha lo stesso nome del cantante che “canta coi Creed quando Stapp non è disponibile” come ho sentito dire qua ai nostalgici dei Guns, uno che di certo si chiama Myles Kennedy, ma non è più il nostro Kennedy!

Ve la racconto tutta! Si presenta con fare spocchioso, camminata alla Plant dei bei tempi andati, gesticola come un forsennato e conciato com’è ci lascia almeno per un minuto a bocca aperta, basite, spiazzate. Ha su il solito cappello, occhiali che sotto i riflettori prendono un singolare color arancio e, per completare il quadretto, una sciarpetta di seta grigio-beige cinge il suo collo ossuto! Mi guardo intorno e vedo la micro folla accorsa per lui, sgranare gli occhi, incredula! Per dovere d’onestà non posso trascurare il fatto che appena ci vede comincia a salutarci, parte il suo solito “Ciau”, è di certo felice di ritrovarci, più volte ci cerca tra la gente e a nostro indirizzo partono “thumbs up” che fanno girare più volte la folla curiosa di sapere con chi sta interagendo! Nonostante ciò la socia al mio fianco ha le mani tra i capelli, con tutta la gestualità di cui siamo capaci noi partenopei lo guarda ed esclama: ma che gli è preso? Chi è questo qua?
Poi, però, comincia a cantare e mentre noi siamo ancora col viso tra le mani per lo stupore, pian piano inizia a farsi perdonare per il coup de théâtre! La voce, la sua voce è quella che ricordiamo, il marchio di fabbrica, possente, intensa, duttile e capace di prendere tonalità che fanno tremare il The Music Box! Si dimena, continua ad agitarsi come in preda ad un attacco epilettico, passa senza fatica da un registro all’altro, tra pezzi dei vari esperimenti musicali di Slash, agghindato com’è, riesce a focalizzare l’attenzione su di se per motivi diversi, e canta, non perde l’occasione di un acuto, un gridolino, uno strillo…

Si, a tratti sembra che urli un po’ troppo perché, diciamolo, l’acustica non lo favorisce, il suono della chitarra di Slash è sparato a mille e lui spesso è costretto a sgolarsi per non soccombere al capo!
Slash è nell’ombra, raramente guadagna il center stage, nascosto da cappello, capelloni, occhiali e dal suo stesso mestiere, le sue dita scivolano velocissimamente sulla chitarra, è ben chiaro che non vuole e non ha più bisogno delle luci della ribalta: vederlo, o meglio, sentirlo sui solos  di Paradise City, Sweet Child o’ Mine o lo stesso Godfather’s theme, è un’esperienza mistica, un pezzo di storia, inverosimilmente in modo tacito, fa a perfezione il suo sporco mestiere dinanzi ai nostri occhi, senza fronzoli! Non smanetta, è tranquillo, lascia la parte della rock star a Kennedy che sapientemente ricambia la fiducia riposta.

Kennedy, di chiunque Kennedy si tratti, ha la consapevolezza di chi può fare un po’ quello che diavolo gli pare con la voce che si ritrova, spazia tra i vari pezzi con facilità, la gente si esalta quando propone le sue “Back from Cali” e “Starlight”, è come se tutti gli perdonassero di non essere Rose o Weiland e ne riconoscessero il range vocale tanto apprezzato da Mr. Hudson! Bella la sua interpretazione di “By the Sword”, superfluo dire che la sua voce fa mangiare la polvere a quella pur possente di Stockdale! Ma il suo massimo, o meglio il massimo di questa serata lo tocca in “Communication Breakdown”: girovagando per il posto vedo la gente in delirio, come se molti fino a quel momento ancora non fossero convinti di cosa potesse fare quest’ometto ossuto travestito da rock star!
Ultimo pezzo, “Paradise City”, dopo 90 minuti di contaminazioni varie, la folla sembra aver gradito questo amalgama insolito, una testa di serie come Slash ha diretto la band in modo fermo e pacato, non ha sgomitato, non ha imposto la sua perdurante fama, ha condiviso generosamente il consenso con la band, con un Myles Kennedy in cerca di identità e col pubblico che si è lasciato guidare ed emozionare dalla buona musica. Ottimo Slash, band all’altezza della situazione, grande voce di Kennedy….per il resto il giudizio è sospeso fino al 10 Giugno, Palasharp, Milano.

Setlist: Dirty Little Thing, Mean Bone, Night Train, Back from Cali, Beggars & Hangers On, Civil War, Suckertrain Blues, Ghost, Nothing to Say, Starlight, Solo/Godfather, Sweet Child o’ Mine, By the Sword, Rise Today, Slither, Communication Breakdown, Paradise City.

Grazie ad Anna Di Sarno

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