Stone Sour Papa Roach Milano 26 novembre 2012

Papa Roach e Stone Sour si sono esibiti lunedì 26 novembre 2012 all’Alcatraz di Milano per l’unica tappa italiana del loro tour congiunto, grazie al quale promuoveranno le loro rispettive ultime release (“The Connection” per i primi, “House of Gold & Bones: part 1” per i secondi”). Ad aprire la serata, poco dopo le 19, gli Hounds, formazione scozzese hardcore. Sarà l’emozione dei componenti del gruppo, sarà che qui in Italia le loro canzoni non sono conosciute, ma l’impressione generale è che non ci sia una grande armonia tra strumenti e voce. Il pubblico avverte questa sensazione e riserva un’accoglienza appena appena tiepida ai ragazzi di Aberdeen. Il tutto dura circa mezz’ora, senza lasciare nulla di memorabile.
Alle 20, col palazzetto che si sta via via riempiendo, è la volta dei Papa Roach. Il quartetto californiano parte subito a bomba con “Burn”, tratta dal primo live “Time For Annihilation”. Già dalle prime note si capisce che Jacoby Shaddix ha energia da vendere. Salta sul palco, corre avanti e indietro, scende a stringere la mano a coloro che sono in prima fila. Un istrione nel vero senso della parola. Inutile dire che così facendo, conquista la simpatia anche di chi è lì solamente per gli Stone Sour. “Getting Away With Murder”, uno dei più grandi successi del gruppo originario di Vacaville, viene accolta con entusiasmo e scatena un pogo scatenato. Cosa che si ripete anche per “Hollywood Whore” ma  “Still Swingin’”, tratto da “The Connection”, ci riporta drammaticamente con i piedi per terra, palesando (ancora una volta) una tendenza comune ai gruppi alternative rock: il “poppizzarsi” man mano con gli album, lasciando da parte l’anima nu metal degli inizi. Ahinoi, nemmeno i Papa Roach ne sono immuni. La setlist è abbastanza variegata, con soli 3 brani (la scaletta ne contiene 12) tratti dall’ultima relase – la già citata “Still Swingin’”, “Leaders of The Broken Hearts” e “Where Did The Angels Go”. “Last Resort” conclude lo show, con il pubblico che canta a squarciagola e Shaddix che ha ancora una carica incredibile. 45 minuti che, sul finire, rappresentano un’iniezione di adrenalina ideale per prepararsi al concerto di punta che, di lì a poco, avrà luogo.

Setlist: Burn – …To Be Loved – Getting Away With Murder – Still Swingin’ – Forever – Lifeline – Where Did the Angels Go? – Scars – Leader of the Broken Hearts – Hollywood Whore – Between Angels and Insects – Last Resort.

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Alle 21.15, sull’intro pestatissima di “Gone Sovereign” finalmente gli Stone Sour calcano il palco grande dell’Alcatraz, col pubblico pagante che arriva quasi all’entrata per un quasi sold-out di prim’ordine. E’ un’esplosione di energia, sia quella della platea che quella di Taylor. Il frontman è esaltatissimo, lancia acqua ai presenti, urla e trascina tutti nel suo turbine. Ed eseguendo a ruota “Absolute Zero” (anch’essa facente parte dell’ultimo disco) la formazione di Des Moines dimostra ancora una volta che, oltre a realizzare ottimi album in studio, anche dal vivo ci sa fare. Il frontman ringrazia tutti ed esprime la sua felicità per essere tornato in Italia, dopo diverso tempo d’assenza.
La scenografia piuttosto semplice (solo la gigantografia della copertina dell’ultimo full length) fa da contrasto con l’ego immenso di Corey: è figo, sa di esserlo ed intrattiene dicendo “fatemi vedere quanti siete!” “quanti di voi hanno il nostro primo disco?” e simili, ma sa anche che l’audience che si trova davanti merita totalmente quel trattamento. Oltre alla storia vecchia come il mondo del calore italico, è palese che i fan partecipano attivamente allo show. Non una canzone non cantata, non un’esitazione nel pogo. Nella fattispecie, il binomio “Hell & Consequences”  e “Orchids” scatena il delirio assoluto. Il denominatore comune tra le prime 13 tracce del live è il valore aggiunto che acquistano gli arrangiamenti, già serrati e convincenti su disco, nella dimensione live. Da “Monolith”, grande classico, a “Mission Statement”, il cantante da’ sempre un’ottima prova di intonazione e resistenza, senza un momento di tentennamento o rottura della voce.
“Digital (Did You Tell)” va a concludere la prima parte del gig per cedere il passo ad un momento molto più intenso che si apre con la prima strofa di “Nutshell”. Sì, proprio quella degli Alice in Chains dei tempi del compianto Layne Staley. Prova molto rischiosa sia per la vocalità che, soprattutto, per la scomodità del paragone dietro l’angolo. Fermo restando che l’originale rimane il top, l’interpretazione di Taylor è comunque ben eseguita ed emozionante. Successivamente, il numero 8 degli Slipknot vince e convince in “Bother” ballatone in cui sfodera, secondo chi scrive, i colori migliori del suo range vocale (e che regala, ai più sensibili, un principio di lacrimuccia) e lo stesso si può dire per “Through The Glass”. “30/30-150” va a concludere un concerto leggermente più breve delle aspettative ma durante il quale gli Stone Sour non si sono  risparmiati nemmeno un secondo regalando, ancora una volta, una performance memorabile.

Setlist: Gone Sovereign – Absolute Zero – Mission Statement – Hell & Consequences – Orchids – Made of Scars – A Rumor of Skin – Reborn – Monolith – Blotter – RU486 – Say You’ll Haunt Me – Digital (Did You Tell) Encore: Nutshell (Alice in Chains cover prima strofa) – Bother – Through Glass – 30/30-150.

Claudia Falzone

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