Suzanne Vega si è esibita in concerto a Bologna il 29 ottobre 2012 presso il Bravo Caffè. Suzanne ti porta giù, non al fiume come diceva il suo maestro Cohen nella bellissima canzone omonima, ma nella profondità di una musica che sembra leggera e non lo è. Nel senso che possiede uno spessore, una magìa invidiabili per la maggior parte delle cantautrici odierne di cui può considerarsi se non madre, zia, appartenendo alla generazione di mezzo tra Joni Mitchell e Alanis Morrissette. Suzanne Vega, di passaggio a Bologna, ha incantato il pubblico in una doppia data al Bravo Caffè, ripartendo da dove la storia era cominciata, più di un quarto di secolo fa. Cioè tornando ad esibirsi in un club, come alle origini, quando si sentiva forse davvero una “small blue thing” schiacciata nella Grande Mela. La Vega ha inciso due primi album folgoranti,l’omonimo dell’85 prodotto da Lenny Kaye e due anni dopo “Solitude Standing” che conteneva l’hit “Luka” con cui ha sfondato in classifica. Poi una serie di dischi di livello, una carriera discontinua ma sempre contrassegnata da prodotti di alta qualità, forse non capiti appieno dal pubblico come “Nine Objects of Desire” del 1996.
E il set ripercorre quasi per intero, in chiave semiacustica, i gioielli di quei due lavori, rivelandone la scarna bellezza liberata dalle postproduzioni discografiche. Inizio scoppiettante con “Marlene on the Wall” e Gerry Leonard, suo chitarrista, che ricama poesia sonora, a tratti venata di psichedelia, attorno ai bozzetti della Vega, spesso di derivazione cinematografica. Poi, la suggestiva “Small blue thing” ma lei non è più triste, anzi ride e scherza con il pubblico indossando un cilindro come Fred Astaire in “Top Hat” e sembra sempre la stessa ragazzina degli inizi. Ci sa fare anche con la chitarra, la signora, possiede groove e swing, non solo grandi capacità melodiche. E i due sviluppano così musica che ti riporta indietro, a quei due 33 giri consumati da ripetuti ascolti: in rapida successione, “Solitude Standing” , “Queen and the Soldier”, “Gypsy” (dove cita fugacemente“Suzanne”), “Language”, “Left of The Center” e una versione bossanova di “Caramel” da “Nine Objects”. Ci sono anche gioiellini meno conosciuti come “Frankie and Ava” ispirato alla love story di Sinatra con la Gardner (ancora cinema…), “Man who played God” e “I’ll never be your Maggie Mae”, quasi country.
La notte scivola via rapida, fino ad una doppietta ben assestata con “Luka” (poteva mancare?), storia universale di maltrattamenti sui bambini, e “Tom’s Diner”, in una versione urbana e funky che riafferma tutta la modernità di quel pezzo. Ovazioni. Poi ci sarà spazio nel bis anche per la struggente, bellissima “Calypso” (scritta nel 1978) e “Crack in the Wall”. Si può finire qui perché, ridendo e scherzando, la signora ha suonato per due ore. E a noi è sembrato di essere al Village.
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