Take That – DatchForum, Milano 24 ottobre 2007


Prima di iniziare con il report vero e proprio sono d’obbligo alcune premesse.
Innanzitutto chi non ha vissuto il fenomeno Take That in prima persona deve provare a immedesimarsi in quello che ciascuna persona (soprattutto donne) presente al Forum provava in questa serata. Io stessa dopo 13 anni di attesa potevo vedere dal vivo il gruppo che aveva segnato e influenzato la mia vita di giovane adolescente, che mi ha accompagnato per quattro anni (allora non era una stupidata spostare i tavolini del salotto per provare con mia sorella le coreografie dei Take That, o raccogliere tutto ciò fosse a loro dedicato, da articoli di riviste a foto).
In secondo luogo, un gruppo come lo erano i Take That negli anni novanta, non ha più fatto presa su una generazione intera così a lungo: basti pensare a Blue, N’Sync (o come diavolo si scrive) o Backstreet Boys, copie riuscite male di una boy band creata e lanciata nel momento giusto della storia del pop.
Infine, ho serie difficoltà nello scrivere questo resoconto cercando di essere il più oggettiva possibile senza lasciarmi influenzare dalla ragazzina-thatters-scatenata-persa che ero tredici anni fa. Ci proverò.
Ok, ora comincio, credo che vi sarà facile capire quando la fan prende il sopravvento sulla redattrice seria e misurata che sono di solito.

Arriviamo al Forum con molta calma, con me la fotografa ufficiale della serata (almeno per Outune) e un’amica; dopo un viaggio di due ore passato in macchina a cantare le loro canzoni a squarciagola, l’ansia pre-concerto sale. Sì, in sostanza non stiamo più nella pelle, vogliamo che il concerto dei Take That inizi.
Dal clima canzonatorio dell’ufficio dove i colleghi mi prendevano in giro e mi ridevano spudoratamente in faccia, ora mi trovo immersa nell’attesa, chiacchierando con due sorelle della Sardegna che come me e le mie compagne di viaggio non avevano avuto la possibilità di vedere i Take prima che si sciogliessero, ma che sentono questo concerto come la chiusura effettiva di un’epoca.
Come detto prima il pubblico è prettamente femminile, gli uomini si contano sulle dita di una mano, spazia da giovani a signore non più tanto giovani che camminano per il Forum in fila mostrando la scritta “Take That” formata dalle loro magliette. Per le 21 il palazzetto è pieno (forse non sold-out ma è buona l’affluenza di pubblico).
Buio, musica di sottofondo, partono delle immagini sullo schermo centrale posto dietro il palco: pianeti, stelle, città…; una donna dal palco più piccolo sistemato al centro del Forum, comincia a cantare (fa finta, è in playback) un’aria lirica, le immagini accelerano, sul palco grande vengono portati quattro podi, sugli schermi appare una città e il logo dei Take That, la doppia T rovesciata. Parte la musica e Gary, Jason, Howard e Mark emergono da dietro i podi cantando “Reach Out”: sono in un elegante completo grigio scuro, cantano impettiti rimanendo dietro le pedane come se fossero ad un comizio politico.
Ommioddio potrei morire! Già urlo come una folle, ma sono proprio loro, che fighi, come sono eleganti! Che canzone è? Ok, Oddio!!! Ecco sto piangendo lo sapevo…e rido…

 

Dopo il primo brano fanno il loro ingresso sul palco due ballerini e sei ballerine scosciate che cominciano a strusciarsi addosso ai Take e loro rispondono con qualche mossa in vecchio stile: è il momento di “It Only Takes A Minute”. I nostri hanno capito che non aveva molto senso ballare simulando una scena di sesso con il pavimento come nel ’94, ora hanno a disposizione quattro ragazze in carne ed ossa con cui ballare e con cui provare nuovi passi di lap dance (Jason e Howard ce ne danno un assaggio alternandosi insieme alle ballerine al palo). Anche Gary si lancia in movimenti di bacino e palpeggiamenti alla ballerina, all’inizio sembra un po’ legato, ma poi ci prende gusto e si lascia andare. Anche se il soprannome che gli ho dato tredici anni fa, “bacino di gesso” resta, apprezzo lo sforzo.
È uno show immenso: luci e immagini che si alternano e susseguono senza sosta, una band completa che arricchisce lo spettacolo (comprensiva anche di quartetto d’archi che in varie occasioni passa da classico ad elettrico), suoni pressoché perfetti, solo in due occasioni la musica era troppo alta rispetto alle voci, nello specifico in “Give Good Feeling” e viceversa, come in “Rule The World”.
I ragazzi si divertono, ridono, salutano, provano a parlare in italiano con il pubblico (“Quanto costa”…”tanti baci con lingua”) mandano baci. Michy hai visto! Jason mi ha mandato un bacio, mi ha guardata e mi ha lanciato un bacio!!!!

I primi pezzi sono quasi esclusivamente quelli del nuovo album “Beautiful World” ed è grazie a questi che possiamo apprezzare le doti canore dei Take That: già si sapeva della ottime qualità dal vivo di Gary, che comunque non si risparmia e regala al pubblico un paio di acuti degni di nota. Mark quando canta come solista trasmette una grinta, in particolare in “Shine”, che è difficile da associare al ragazzino biondo di un decennio fa. La vera sorpresa sono Howard e Jason: del primo sappiamo che già in passato aveva cantato qualche brano, come “Never Forget” (tra l’altro è ottima l’interpretazione a cui assistiamo questa sera), ma è sorprendente ascoltare i netti miglioramenti che ci sono stati in questo periodo e la sicurezza acquistata; Jason è una sorpresa su tutti i fronti: oltre a suonare la chitarra su “Hold On” regala una versione di “Wodden Boat” senza una sbavatura, un’interpretazione matura e coinvolgente, niente a che vedere con i semplici cori di una volta.
“Relight My Fire” scuote un po’ il pubblico dopo il rilassamento dato dai pezzi “Patience” (cantata all’unisono da tutti gli spettatori) e “I’d Wait For Life”, Howard non indossa i pantaloni di pelle rossa (sigh, sigh), ma l’anima della canzone è sempre la stessa: grinta, sensualità e temperature elevate. Addirittura per meglio evidenziare il concetto, grazie a un trucco scenografico, i ragazzi si ‘infiammano’ davvero, chi a un piede, chi a un braccio e così via (in realtà nelle date precedenti delle fiammate si sprigionavano dal centro del palco verso l’alto, in Italia per le norme di sicurezza non è concesso e i Take hanno aggirato l’ostacolo in questo modo).
Dopo “Rule The World” dall’alto scende una passerella che va a congiungere i due palchi, i Take That si spostano su quello più piccolo e lì vi è un ritorno al passato (già l’idea stessa della passerella si era vista nel live da Manchester del 1994): suonano una versione acustica e un po’ malinconica di “Could It Be Magic” con le ballerine che si librano in aria, lanciano dall’alto petali bianchi; quindi giocano col pubblico accennando ai vecchi successi per poi lanciarsi in “Back For Good” che lascia tutti senza fiato e senza voce. Sulle note di “Everything Changes” (ma il sassofonista è lo stesso di tredici anni fa! È lui ne sono sicura! Quante ne so!) la passerella scende di nuovo e i quattro tornano sul palco principale lasciando Jason alla sua “Wodden Boat”.
Lo stage resta vuoto per pochi attimi e parte una musica dance forse troppo alta, arrivano i ballerini e poi tornano i Take That in tuta e con i cappucci sulla testa, volumi a palla e via a “Give Good Felling” e “Sure”, durante le quali vengono riproposti alcuni estratti delle vecchie coreografie mandando in visibilio gli spettatori.
Ma che è sta musica?! Adesso arrivano i Daft Punk oppure inizia una sfilata di moda?! Ah, eccoli! Ballo anche io! Che vuole sta signora?! È venuta di sua sponte al concerto o ha sbagliato ingresso e doveva andare a vedere “Le Cirque Du Soleil”?! non canta mezza canzone e guarda torvo chi la urta mentre balla… ma guarda sti caproni che non sanno nulla! E canta!!

 

Su “Never Forget” è il delirio, il pubblico è coinvolto più che mai, particolare la scenografia che fa da contorno alla canzone: anche per questo un richiamo ai concerti precedenti, le più attente si ricorderanno lo stesso trucco scenico usato in “Babe” nei vecchi live.
Breve pausa e poi “Shine” ottimamente interpretata da Mark, e “Pray”, sul palco sono presenti tutti, musicisti e ballerini compresi: un gran finale per un gran concerto.
È finito, sono esausta, non mi sembra vero, ho visto i Take That, però non hanno fatto “Babe”, fa niente, che bello…ok, non piango…
C’è poco altro da aggiungere: i Take That hanno dimostrato che si può crescere musicalmente senza per forza dover rinnegare il passato, non avranno presentato i balletti estemporanei a sfondo sessuale di una volta (un po’ mi dispiace, ero pronta a ballare con mia sorella in memoria dei vecchi tempi), ma hanno mostrato la loro maturità, sia come persone, sia come cantanti, proponendo le canzoni di dieci anni fa con passione e coinvolgimento.

Setlist: Reach Out, It Only Takes A Minute, Beautiful World, Patience, Hold On, I’d Wait For Life, Relight My Fire, Rule The World, Could It Be Magic, Back For Good, Everything Changes, Wodden Boat, Give Good Feeling, Sure, Never Forget, Shine, Pray.

A.M.

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