The Black Crusade Tour – Alcatraz, Milano 6 dicembre 2007

Arrivo all’Alcatraz con un leggero ritardo (10 minuti scarsi) su quella che doveva essere l’ora d’inizio delle danze ma non mi preoccupo troppo perché, come sempre accade, i ritardi sono presenti ad ogni concerto che si rispetti. E invece, incredibilmente gli Shadows Fall sono già sul palco a suonare: programmati per le 18, hanno attaccato alle 18, e mi sono perso un paio di canzoni, accidenti.
Il quintetto americano ha una ristretta audience data dall’orario ma in ogni caso non si perde d’animo e fa del suo meglio: il cantante Brian Fair è una belva scatenata e tra un vocalizzo e l’altro va a stringere mani agli spettatori oltre a fare un headbanging spettacolare grazie alla sua lunga chioma rasta. I suoni sono un po’ confusi, ma nonostante questo la mezz’ora riservata loro viene impiegata ottimamente dal punto di vista dei pezzi scelti (si chiude con Redemption, nominata quest’anno nei Grammy) e largamente apprezzata dalla platea. Peccato comunque per il poco tempo loro riservato, gli SF non sono certo gli ultimi arrivati e meriterebbero ben più di un posto come opening act.

In tempi relativamente brevi (e cosi sarà per tutta la serata) viene effettuato il cambio di strumentazione. Si prosegue quindi con il death melodico dei Arch Enemy. La loro performance è altrettanto breve sempre per il poco tempo a disposizione, ma gli anglo-svedesi riescono a tirare fuori il massimo lo stesso, grazie anche a dei suoni al di sopra della media. I ritrovati fratelli Ammot danno prova di essere in gran forma eseguendo degli assoli in coppia assolutamente perfetti, (una sinergia ottima, vista in poche altre band) mentre la bella Angela Gossow focalizza l’attenzione per gran parte dello show (del resto quante ragazze vediamo cantare, e bene anche, growl su un palco metal?). Tra i pezzi scelti risaltano “Blood On Your Hands” dal nuovo cd, “Nemesis” e “My Apocalipse” dall’antecedente “Doomsday Machine”, e la finale “We Will Rise”.

A seguire i Dragonforce…Il loro concerto si può riassumere facilmente in una parola: inascoltabili. Il sottoscritto non è particolarmente interessato alla scena power ma provate voi a sentire 50 minuti di assoli eseguiti alla velocità della luce dando l’idea di ascoltare un lungo, eterno brano. Il cantante credendosi chissà chi passa il tempo a bagnare le prime file di acqua facendo ovvi riferimenti sessuali usando il microfono…parliamoci chiaro, questo genere è solo per puristi della chitarra, ma a questo punto tanto vale sentire Steve Vai o Malmsteen, perché sicuramente più apprezzabili. Non a caso il momento migliore del sestetto britannico è una ballad lenta in cui i riff non sono confinati e oscurati da mille assoli. In ogni caso non devo essere stato l’unico a non apprezzare in quanto verso la fine della scaletta svariati rotoli di carta igienica vengono lanciati sul palco e addosso ai musicisti, un significato piuttosto eloquente…Ma del resto cosa ci fa una band power in un bill di tutt’altro genere? E soprattutto perché hanno suonato per terzi?

A molti i Trivium fanno storcere il naso, se non peggio. Molti pensano che l’improvviso cambio di sound (e l’impressionante somiglianza del cantato a quello di Hetfield) non siano frutto del caso, o meglio, della naturale evoluzione di questi 21enni cresciuti a pane e thrash, ma quando il quartetto attacca a suonare “Entrance Of The Conflagration” l’Alcatraz, finalmente pieno, esplode; e questo è un dato di fatto, piaccia o meno la band.
Lo show subisce un’interruzione subito dopo a causa di una meccanica della batteria da cambiare ma nonostante ciò il frontman intrattiene il pubblico scambiando battute e, quando la cosa va per le lunghe, improvvisa con gli altri membri una “Symphony Of Destruction”, per la gioia dei nostalgici. Il repertorio presenta le punte di diamante tratte da “The Crusade” e “Ascendency”, quali la “commerciale” “Anthem”, “To The Rats” e la pesantissima “The Deceived”. I 4 ragazzi nonostante la giovanissima età sono più che a loro agio sul palco e, anche coloro che non apprezzino la loro musica in studio, non potranno negare che in sede live spacchino: mai fermi, sempre a bangare, cantare o incitare la platea, per chi non li aveva mai visti lo show è stata una sorpresa.

E infine arriviamo ai Machine Head: il brano di apertura è ovviamente l’ opener/intro dal nuovo cd “The Blackening”, “Clenching The Fist Of Dissent”; a seguire la recente (ma subito diventata classico) “Imperium” annata 2004. Con “Aesthetics Of Hate” la folla si scatena, poghi e moshipits ovunque, senza contare le decine di body surfers che passano sopra le teste …stare nelle prime file diventa un impresa. Il massacro continua con la storica “Old”, e con la lunga e nuova “Halo”.
Sembra proprio che i Machine Head siano destinati a chiudere in bellezza quella che è stata una serata infuocata: tutti i gruppi bene o male hanno dato il massimo sul palco e non hanno deluso le aspettative, i Trivium hanno scatenato la folla e i MH stanno proseguendo l’opera…tutto bene quindi? Sbagliato.
Rob Flynn ha appena iniziato a intonare la bellissima e profonda “Descend The Shades Of Night” quando il partner e seconda ascia Demmel cade a terra svenuto portandosi dietro il suono della chitarra (nulla di grave, benché inizialmente il pubblico fosse molto preoccupato dell’accaduto). Concerto sospeso, Flynn, accolto da applausi scroscianti, esce un paio di volte a ringraziarci del supporto dicendo di attendere notizie ma poi il gruppo annuncia che lo show non può continuare. Peccato.

N.B.

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