Se il mondo fosse giusto, i Cult riempirebbero gli stadi. Come tutti sappiamo, però, non è così e ci troviamo costretti a vederli in un Estragon pieno al limite della sopportazione umana. Il cartello che indica l’assenza di fotografi ufficiali in principio fa incuriosire, poi l’ingresso di Ian Astbury rende tutto più chiaro: il singer è irriconoscibile, negli ultimi anni pare essere aumentato di dieci/quindici kg, oltre a mostrare una foltissima barba che lo rende sempre più simile al Jim Morrison di “Morrison Hotel”.
Tutto ciò ha dell’inquietante se pensiamo che da sempre la sua figura viene accostata a quella del cantante dei Doors e che Ian stesso sia stato l’ultima voce ufficiale dello storico gruppo americano… Aggiungeteci i suoi testi ricchi di riferimenti ai nativi americani ed il cerchio giunge alla naturale chiusura. Di contro, Billy Duffy sembra lo stesso di vent’anni fa, quasi che il fedele compagno rappresenti il suo personale ritratto di Dorian Gray.
Fatta questa lunga premessa veniamo al concerto. Il gruppo ha da poco annunciato l’intenzione di non produrre più nuovi dischi, ma di suonare solo dal vivo ancora per diversi anni. Ben vengano queste notizie se la qualità dei live fosse sempre questa. L’inizio è chiaramente assegnato a “Nirvana”, che fa godere immediatamente i fan stremati da un lungo ritardo (probabilmente per problemi tecnici). “Love” è il disco più venduto di sempre dei Cult e dopo questa sera in pochi usciranno chiedendosi il perché di questo dato. La resa è semplicemente perfetta: la voce di Astbury è al limite dello splendore, Duffy pare indemoniato e il resto del gruppo, su tutti un incredibile Tempesta alla batteria, è da cardiopalma. L’album scorre che è un piacere con i prevedibili picchi di “Sanctuary” e “Rain”, anche se i momenti più alti di questa prima parte li regalano la splendida “Brother Wolf, Sister Moon” (al limite del doom) e la conclusiva “Black Angel”.
Io me ne andrei ora, ma sarebbe un gravissimo errore. Il finale è dedicato ai classici, che ogni sera vedono stravolgimenti consistenti. “Electric Ocean” surriscalda gli animi per la successiva “Wild Flower”che, per chi scrive, rimane il momento più emozionante dello show. “Dirty Little Rockstar” ci ricorda che un album recentemente i quattro l’hanno anche prodotto, ma le conclusive “Fire Woman” e “Love Removal Machine” dimostrano anche impietosamente che andare avanti solo dal vivo è la migliore scelta possibile.
Lunga vita.
Setlist: Nirvana – Big Neon Glitter – Love – Brother Wolf, Sister Moon – Rain – The Phoenix – Hollow Man – Revolution – She Sells Sanctuary – Black Angel.
Encore: Electric Ocean – Wild flower – Sun King – Rise – Dirty Little Rockstar – Fire Woman – Love Removal Machine.
Luca Garrò