Chi in questi giorni si è lamentato per l’abbinamento della storica band New Wave con gruppi giudicati di poco spessore artistico, ha ovviamente la memoria corta e non si ricorda di quanto Robert sia sempre molto generoso con l’emittente televisiva da oltre 15 anni, senza dimenticare che in tutto questo tempo, la rete ha sicuramente contribuito nel successo anche commerciale della band, mandando in rotazione i loro video oramai divenuti un cult per più di una generazione. E quattro anni fa in medesima cornice venne battezzato il disco omonimo.
La piazza inizia ad accogliere i primi fan già dalle quattro del pomeriggio, l’atmosfera è abbastanza serena, palco delle grandi occasioni, poco merchandise (se non della nota bibita, prodiga a distribuire gadget e bevande omaggio). Passano ben tre ore prima dell’inizio dello show, con il trascurabile dj set di Andrea Mariano dei Negramaro, votato solo a guadagnare tempo con ritagli discotecari con tanto di luci destinate a tal scopo. Cala il sole e lo show comincia, con la presentazione di due giovani band emergenti vincitrici di un concorso del canale musicale (da cui pare emergere un certo interesse di promuovere commercialmente i fiorentini “So Much Blonde”, autori per altro di un innocuo rock subsonicizzato come attualmente gira nel trend italico). I due palchi vengono usati ad intermittenza, per permettere di cambiare il set per ogni band. I primi a salire per uno show da mezz’ora sono i The Bluebeaters capitanati dall’esuberante Giuliano Palma, con il loro discreto Ska/Rocksteady riscaldano il pubblico con una manciata di cover. Si prosegue con le rivisitazioni pseudorap degli “Zero Assoluto” e il pubblico si divide tra le teenager in festa e i fans degli headliner della serata che mostrano di non gradire affatto.
John Legend giunge accompagnato da ben dodici elementi tra musicisti e coriste, per presentare il suo neo soul decisamente poco scremato, ma appetibile nonostante lo show decisamente “americano” nell’enfasi e negli effetti on stage. L’ ultimo sacrificio per il pubblico è costituito dall’ imbarazzante Marracash , Hip Hop dalla profondità di una pozzanghera. La piazza intanto s’ingravida di appassionati della band inglese, sconfina addirittura nella strada, e quando vengono annunciati un autentico boato travolge l’area.
La prima ora è dedicata al nuovo disco “Dream 4:13”. Sicuramente meno dipendente da riffoni e più pregno del così detto The Cure Sound. Un misto tra Wish e Pornography ne è il discreto risultato. Aperto dalla melanconica “Underneath the Stars” (con i classici due minuti strumentali d’intro), Robert calibra bene la voce, evidenziando i passaggi di registro difficili della nuova release. Non mancano i pezzi movimentati come il funk/disco sbarazzino di “Freak Show” con sugli scudi un ottimo Porl (il chitarrista è certamente il più in forma della serata). La parte finale è certamente quella più riuscita: ecco infatti il trittico formato dal terzo singolo (“Sleep When I’m Dead” vecchia demo anni 80 ri-arrangiata dopo molto tempo) in pieno pathos chitarristico, la tenebrosa “The Scream” che riporta direttamente alla mente la trilogia dark, e l’ending “It’s Over”, atipica per la loro discografia, d’impronta quasi Rush. E il pubblico dimostra di apprezzarla. Ma si sveglia ovviamente con maggior enfasi per i pezzi che già conosce, mostrati nella seconda ora di performance. Diversi i riferimenti a Disintegration (tutti i singoli a parte “Pictures Of You” , tagliata dalla scaletta insieme ad altri due per questioni di ritardo ) fino alla spettacolare “A Walk”, ripresa con la sei corde che emula la tastiera assente nella lineup della formazione attuale. Seguono “Friday I’m In Love” e “Just Like Heaven”, brani pop praticamente perfetti e di rilevanza mondiale dal punto di vista di ispirazioni per le band contemporanee. Dopo alcuni episodi meno storici come “Wrong Number”, si arriva alla conclusione con il loro cavallo di battaglia degli esordi, “Boys Don’t Cry”, il tutto servito in buona acustica e scenografie spettacolari come vuole la tradizione televisiva. Poi si congedano e tornano nella stessa oscurità che li ha partoriti.
Federico Francesco Falco