Sono stata ingannata. Ero convinta che il concerto dei The Vamps a Milano fosse un vero concerto, alle 21, di quelli normali. Invece mi sono ritrovata a un fan event alle 17 con i cartonati dei quattro ragazzotti inglesi e delle quindicenni che piangevano. Piangevano tutte. Io non ho pianto così tanto nemmeno guardando Il Pianista o quando sono stata lasciata su whatsapp senza nemmeno un’emoticon.
Ma perché, poi, esattamente, una di ventisei anni vorrebbe andare a sentire una band di ragazzi di venti? Perché questo problema con le boyband lo abbiamo solo in Italia, ecco perché. E perché mi piace chiamare boyband quelle band formate da soli uomini anche se suonano degli strumenti. Io faccio come voglio.
Lo scorso anno vivevo a Londra e BBC Radio 1 era la mia Bibbia. La cosa bellissima, che qui invece non esiste, è che su quelle frequenze i Blur e gli One Direction sono trattati allo stesso modo. ERESIA! Grideranno i puristi dell’indie, e forse qualcuno dovrebbe dire loro che l’indie è morto almeno due anni fa. Beccavo sempre questi The Vamps quando, imbottigliata nel traffico di Londra Sud, imprecavo contro la guida al contrario. Inizialmente li confondevo sempre con i 5 Seconds of Summer, poi ho imparato che loro sono quelli con meno scopate nei testi e un sound meno scopiazzato dal pop punk americano di quando avevo io 15 anni (cosa che comunque i 5sos non fanno affatto male e che anzi, piacciono persino al mio amico Piero che è un super metallaro).
Come succede ogni volta che voglio giustificarmi con me stessa per ascoltare una musica che a mio padre farebbe rizzare i peli del petto, mi ripeto che il pop è importante, che le quindicenni di oggi le preferisco quando ascoltano i The Vamps rispetto a quando si truccato come Ariana Grande cantando le parolacce di una canzone di Emis Killa, e che anche basta con questa storia che avere successo a 18 anni ed essere carini voglia per forza dire di non saper suonare. Avete mai ascoltato il disco acustico di Justin Bieber? No? Ecco, e allora shhhh.
Io dai The Vamps mi aspettavo esattamente quello che ho sentito. Avrei voluto sentirli un po’ più a lungo, visto che il live è durato sì e no mezz’ora, e con meno urla nelle orecchie. La voce di Brad non è, ovviamente, come quella del disco. Le parti più alte le lascia cantare al pubblico o semplicemente restano senza voce. I suoni sono quelli di una band che forse sarebbe dovuta restare un po’ più a lungo nel garage a provare invece di essere catapultata sui palchi giganti, ma in fondo anche questa può essere gavetta (se gavetta si può chiamare suonare dentro palazzetti strapieni, con persone che però non ascoltano minimamente cosa stai facendo). I brani più famosi quali “Somebody to Love”, “Last Night” e “Oh Cecilia” sono presentati sotto forma di medley, poi è il momento di “Cheater”, singolo estratto dal nuovo album “Wake Up” in arrivo a brevissimo e che io non riesco a togliermi dalla testa (e dal quale si capisce che qualcosa è cambiato, magari anche solo l’arrivo dei primi peli sul petto), si prosegue con “Can We Dance”, dove le ragazzine intorno a me mi fanno capire una verità un po’ triste, e cioè che il merito di questo tipo di artisti è quello di insegnare l’inglese molto meglio di quanto faccia la scuola italiana, e infine “Wake Up”, dove l’ukulelino viene definitivamente buttato nel Tamigi per lasciare spazio a un sound più “pestato” – ma no, scordatevi i Blink 182 – del quale vi consiglio la visione del video perché c’è il figlio modello di David Beckham.
Se dovessero tornare in Italia andrei di nuovo a sentirli, anche per riuscire a scrivere un report che sia davvero tale e non uno guidato dal fatto che un ragazzino di vent’anni senza nemmeno la barba facesse dei movimenti sensuali facendomi così sentire Eva Longoria in Desperate Housewives. The Vamps promossi per il momento ma comunque rimandati a settembre: devono farmi sentire se riescono, davvero, a tenere un concerto lungo almeno il doppio del tempo.
Cover story a cura di Rodolfo Sassano.