The Wombats Magazzini Generali Milano 5 dicembre 2011

Ormai gli Wombats sono di casa. La band di Liverpool torna nella seconda delle due date invernali riservate al nostro paese nella città che aveva visto l’inizio del tour, lo scorso maggio. Apertura e chiusura dunque, dato che quella del 5 dicembre ai Magazzini Generali di Milano è anche l’ultima tappa del loro tour europeo. Ad aprire il tutto ci pensano i Team Me, gruppo norvegese indie-pop che ultimamente sta accompagnando Murphy e soci in giro per l’Europa: un po’ Fleet Foxes, un po’ MGMT, la band scandinava riesce a coinvolgere il pubblico e a riscaldarli nell’attesa con alcune canzoni davvero orecchiabili tra le quali spicca il singolo di maggior successo, Weathervanes and chemicals.

Passata una buona mezz’oretta di rituale dj set arriva finalmente il loro momento, scandito dalle urla delle centinaia di ragazzi presenti ai Magazzini all’abbassarsi delle luci. Gli Wombats si presentano con il solito look derivativo (ndr, la fascetta del batterista sa un po’ di hipsterata), l’aria scanzonata che solo i ragazzotti inglesi, con dialoghi pieni zeppi dell’ironia che ne caratterizza i testi, e soprattutto tanta voglia di coinvolgere il pubblico, nonostante qualche inevitabile segno di stanchezza.
A tal proposito iniziano lo show con pezzi tra i più conosciuti quali Our perfect disease, proveniente dall’ultimo album This Modern Glitch, e Kill the director, uno dei manifesti del trio di Liverpool. Questi brani fanno da apripista ad una scaletta ormai ben rodata durante il tour dei mesi scorsi, che alterna nuovi successi (Jump into the fog e Techno fan, cantate a gran voce da tutti i presenti) e vecchie glorie sempre attuali come Lost in the post e 1996, che fanno scatenare soprattutto i fan di lunga data della band.
Non contenti del ritmo davvero incalzante dei brani proposti, gli Wombats ci infilano anche degli stacchetti strumentali, più o meno elaborati, che rendono lo show un flusso pressoché continuo di suoni, di quelli che o continui a dimenarti o meglio che lasci la pista per evitare il collasso. Ma gli animi stanchi, passata già un’ora e più dall’inizio del concerto, si rinvigoriscono quando una delle improvvisazioni termina nel intro di Moving to New York, vero e proprio tormentone, che carica nuovamente le pile a tutti là dentro.  La prima parte dello show si chiude con la ballabilissima Tokyo, ultimo sprint che termina nella pausa prevista prima del consueto encore.

Manco il tempo di rilassarsi un attimo o andarsi a prendere qualcosa per rinfrescare la gola che quei tre sono nuovamente sul palco, ma siamo arrivati al momento soft della serata: partono le registrazioni degli archi e la voce di Murphy intona i primi versi di Anti-D, terzo singolo estratto da This Modern Glitch, una canzone d’amore farmaceutico che scioglie totalmente il pubblico, tra mani alzate a tenere il ritmo delle strofe e qualche accendino nell’aria.
Dopo quasi due ore di ottima performance siamo finalmente giunti all’anthem per eccellenza: Murphy invita il pubblico a urlare una volta finito il primo giro della canzone che chiuderà il concerto. Inizia col riff, il pubblico urla: ci si immerge in Let’s dance to Joy Division. Pogo, mani stracciate verso il palco, coro generale per il ritornello: è affidata a queste ultime immagini la perfetta esegesi della serata. Celebrate the irony, si canta nel ritornello. E si è celebrata, eccome.

Ps. Degno di nota è stato il curioso ring of death organizzato come atto finale dello show, accompagnato dall’ennesimo stacco strumentale. Cose (belle) che non pensavo di vedere associate agli Wombats, fruttate qualche spallata nello stomaco e tanto sano divertimento.

Andrea Suverato, foto Rudy Sassano

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