Buono, ma non eccelso. Il concerto dei Tool in quel di Milano si potrebbe sintetizzare con questa asserzione lapidaria, perché troppe sono le imperfezioni alle quali si è assistito.
Per cominciare si potrebbe parlare del problema più evidente, quello ai suoni. Da un gruppo formato da musicisti di alto livello come il loro ti aspetteresti una cura della qualità sonora più che meticolosa, e invece sono molte le cose che non hanno funzionato; in particolare all’inizio del concerto, quando le prime note di “Rosetta Stoned” invadono il forum: basso quasi inesistente, chitarra che opprime tutto, la voce di Maynard che prima è troppo alta e un secondo dopo si confonde dietro agli strumenti, insomma partenza piuttosto disastrosa. Certo, con il passare del tempo la situazione migliora, ma per tutto lo show la chitarra sovrasterà fastidiosamente la sezione ritmica, tanto da metter quasi in secondo piano la bravura di Carey dietro le pelli (mostruoso come su disco). Detto questo, si potrebbe anche infierire sul comportamento tenuto dai quattro verso il pubblico, focalizzandosi in particolare su quello di Maynard: va bene la fama di act impenetrabile, ieratico e genericamente “art – rock” che i Nostri vantano, ma cantare per quasi tutto il concerto con le spalle rivolte al pubblico, continuare a deprecare l’utilizzo dei flash e non ringraziare neppure a esibizione terminata sono comportamenti più da montato che da “grande artista”, semplicemente. Terzo ed ultimo problema, scaletta e durata del concerto: i Tool non si sono avvalsi di nessun supporto, e un’ora e quaranta di musica, pause comprese, sono un po’ pochini a fronte di una spesa di 37 euro (il prezzo del biglietto più prevendita); in particolare se si pensa che è stato proposto metà del nuovo album, lasciando ai due precedenti solo le briciole. Così sfilano una dietro l’altra “Vicarious” , “Jambi”, “The Pot” e la già citata “Rosetta Stoned”, mentre da “Aenima” vengono eseguite “Stinkfist”, “Forty Six & Two” e “Aenema”, da “Lateralus” solamente “Schism” e la title – track; personalmente avrei gradito sentire anche “The Grudge” e il dittico “Parabol/Parabola”, un paio di pezzi che avrebbero fatto felice molta gente e che non credo sarebbe costato molto eseguire. Pazienza, evidentemente il quartetto ha giocato al risparmio. Certo hanno gioco facile, date le loro indubbie doti come musicisti (impeccabili sotto il profilo tecnico anche in sede live), e la qualità altissima del loro repertorio (va detto, ridetto e ribadito ancora una volta: gli unici degni eredi dei gruppi progressivo/psichedelici dei Seventies). Però queste qualità non giustificano il comportamento troppo freddo e distaccato che hanno mantenuto verso i loro fan per tutto lo spettacolo, e una eccessiva sciatteria nella cura dei suoni che ne ha inficiato il risultato finale. Comunque sia spero di rivederli in futuro, magari un pelo più concreti e un pelo meno supponenti.
S.M.