Notte, interno. La scena è scarsamente illuminata. Molte persone riempiono una sala stretta e lunga, confondendo il loro vociare col fumo – non è tabacco, o almeno non solo. D’un tratto appaiono cinque individui, tra i quali una donna. Capelli lunghi, vestiti scuri. Uno di loro somiglia ad un giovanissimo Brian Molko. No, meglio: somiglia a Richard Ashcroft. La donna indossa invece un lungo vestito rosso che lascia intravedere, in controluce, due linee sinuose e affilate. Uno sguardo d’intesa filtra verso la platea un attimo prima che il fumo inghiotta definitivamente la scena. E si parte…
Un regista non avrebbe studiato una scena migliore per presentare al pubblico del Circolo degli Artisti di Roma i Toy. La band londinese è in giro a promuovere il suo secondo lavoro, “Join the Dots”, apprezzatissimo seguito del disco d’esordio omonimo. La scaletta ha attinto indifferentemente a entrambi i lavori. Lo testimonia la partenza di qualità: Conductor – primo brano dell’ultimo disco – e Colours Running Out – incipit del secondo. Prima considerazione: l’esecuzione è estremamente fedele al disco, o meglio, il disco è estremamente fedele al live. Il cantante Tom Dougall, infatti, ha più volte raccontato di come “Join the Dots” sia stato pensato per essere suonato più che registrato, il che ha spostato il grosso del lavoro in fase di pre-produzione – fatto inusuale oggi giorno. Seconda considerazione: la band, malgrado l’evidente cura per i dettagli, non rinuncia a una certa sporcizia sonora ed esecutiva, prevedendo l’errore come parte integrante della propria espressività, sacrificando così una limitante raffinatezza sonora in favore di una più viva spontaneità. Seguono “As we turn”, “It’s been so long”, “Kopter”, “Dead & Gone”, che ci portano alla terza considerazione: sono due le anime musicali della band. Il cuore è essenzialmente indie-pop, interpretato senza fronzoli e con un distacco molto british, ma le influenze corollarie, esplicitate soprattutto nella seconda parte dei brani, dimostrano grande affezione verso generi come la psichedelia e il noise, o verso la Kosmische Musik dei Neu!. Nelle variazioni armoniche e ritmiche, e nelle lunghe code dei finali, c’è lo spazio per l’improvvisazione rumoristica, per ricreare un unicum sonoro incisivo e avvolgente, per dare sviluppo alla stratificazione sonora, senza mai evadere troppo dagli schemi definiti. Chi trova maggiore libertà nella dimensione live è certamente il batterista Charlie Salvidge: lo testimoniano brani come “Fall out of love”, o la stessa “Kopter”, davvero notevole – e c’era da aspettarselo. Il ritmo è più veloce, sostenuto, spietatamente metronomico. Spetta a Charlie il compito di far emergere lo scarto con il materiale inciso riuscendo nel sempre delicato compito di scolpire il mood dei brani e delle loro parti, rifinite poi dai suoi colleghi, soprattutto grazie a penetranti sferzate chitarristiche.
Chiude il cerchio, dopo 80 minuti, il singolo “Join the dots”. I Toy si sono avvalsi di un set luci impressionante ed efficacissimo, parte imprescindibile del loro show. I fasci luminosi sono puntati direttamente verso il pubblico, a tratti violentato dall’irresistibile movimento ritmico, con la complicità della sempre attiva macchina del fumo. La scenografia giunge al culmine dinamico proprio nel finale, che non lascia adito ai bis. La band saluta così il pubblico e lascia il palco. Un live che ha confermato le buonissime sensazioni dopo l’ascolto del disco, e ci ha detto anche di più, cioè che i Toy sono attualmente tra le band più rilevanti della nuovissima leva musicale britannica. Del resto lo confermano le vendite: i cd sono finiti nel giro di qualche minuto, mentre i vinili, a Roma, non ci sono proprio arrivati visto che è andato tutto venduto nelle due date di Bologna e Milano. La sensazione è che un live non sia bastato a placare la voglia del pubblico.
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