U2, la scaletta e la recensione del concerto a Roma del 16 luglio 2017

Si replica allo Stadio Olimpico di Roma. Dopo il clamoroso successo della Prima, gli U2 tornano in concerto nella Capitale per la gioia di altri 58.000 fan. Il tour celebrativo per i trent’anni di The Joshua Tree conclude quindi la mini residency italiana per spostarsi altrove. Le speranze dei fan tuttavia sono già elevate per il prossimo futuro dato che, come ha confermato Bono stesso, è oramai imminente la pubblicazione del nuovo album dei Nostri.

U2 Roma 16 luglio 2017, la recensione del concerto

Ho visto qualche video dei concerti del “The Joshua Tree Tour” quando è partito mesi fa, ma poi mi sono ripromessa che non avrei guardato più nulla. All’inizio un po’ per non soffrire, dato che miracoli a parte sapevo che non sarei mai andata a nessuno dei due live romani. Poi il miracolo è successo, ma ho comunque continuato a resistere. Arriva la vigilia dello show e mi butto in un binge watching che manco Netflix. E continuo a ripetermi, sono una cretina, non c’è modo migliore di rovinarsi la sorpresa. Ma mi sbagliavo.

Un concerto degli U2, per quanto collaudato, non è mai quello che ti aspetti. Non sto parlando di setlist ovviamente, perché il tour celebrativo del trentennale di quel capolavoro che è “The Joshua Tree” non può che essere limitante (nel modo più splendido che esista), ma a livello di emozioni. Quel qualcosa che incomincia a grattarti alla bocca dello stomaco e poi risale su fino agli occhi. No, non è indigestione, ma commozione vera.

Lasciamo stare per una volta i discorsi politici di Bono, e le sue (discutibili, per carità) amicizie degli ultimi tempi: quando si parla di musica, di artisti con la A maiuscola e di canzoni che hanno riscritto la storia del pop, rock, chiamatelo come volete, c’è ben poco da fare i critici da strapazzo. Come ha detto lo stesso frontman irlandese prima di attaccare con con “One Tree Hill” (brano di “The Joshua Tree” dedicato all’amico/roadie/assistente Greg Carroll, scomparso tempo fa), “melody is memory”. E gli U2 sono i campioni assoluti nel toccare con la loro musica quelle corde che si sono spezzate, e che loro stessi hanno aiutato a ricucire, o a instillare in noi nuovi ricordi che non sfioriranno mai. Tipo il loro concerto del 16 luglio a Roma (ma anche quello del 15, basandomi sulle voce di qualche decina di migliaia di persone).

Ma mi sto dilungando un po’ troppo, e giustamente voi vorrete sapere che cosa è successo durante la seconda data italiana del quartetto dublinese. Come anticipavo poco prima, niente di nuovo sotto il sole (se escludiamo il rimpiazzo di pregio di “Bad” con “A Sort Of Homecoming”). Si inizia con la prima parte del set, eseguita sul mini palco in mezzo al pubblico, per poi tornare sullo stage principale a suonare “The Joshua Tree” per intero. Da una band di professionisti e perfezionisti come gli U2 non ci aspettiamo nessuna sbavatura, e così è stato. Larry Mullen, il solito metronomo, Adam Clayton, l’imperturbabile delle quattro corde, The Edge, inventore di quei riff inconfondibili, e Bono, istrionico trascinatore di folle dalla voce inossidabile. Inutile dirlo, quando Mr Hewson profferisce verbo il silenzio in cui cade il pubblico dell’Olimpico è irreale (mi è capitato di sperimentare qualcosa di simile con Eddie Vedder) ed è divertito e ammirato dal suo italiano improvvisato e dal suo candore quando, dopo “Red Hill Mining Town”, annuncia che erano ben trent’anni che non suonavano insieme questo pezzo, e sono stati costretti quindi a re-impararlo da capo.

Il viaggio negli Stati Uniti alla ricerca delle origini irlandesi della musica locale (e anche della cultura) continua accompagnato da visual mozzafiato, su un palco che per gli standard degli U2 sembra spoglio, ma è giusto che sia così. Quando la musica è così potente, gli effetti speciali sono solo un degno accompagnamento.

Finisce la parte celebrativa, e lo spettacolo si avvia verso gli ultimi brani in scaletta. È qui che salta fuori un altro tema portante di questo tour: le donne. Più volte Bono e i maxischermi ripeteranno che ora tocca alle donne riscrivere la storia (history) e trasformarla in “herstory” (dopo “Beautiful Day” e prima di “Ultraviolet”, tra l’altro dedicata a tutte quelle donne, dalle Pussy Riot a Rita Levi Montalcini, che la storia l’hanno davvero fatta). E “Miss Sarajevo” si incentra sulla storia di una giovane profuga siriana. Ma i Nostri hanno anche voglia di divertirsi, come dimostrano con le megahit “Elevation” e “Vertigo” e con l’esecuzione tiratissima di brani (facendo un passo indietro veso il cuore dello show) tipo “Bullet the Blue Sky”. Conclusione scontata della serata “One”, un inno dalle molteplici sfaccettature, che può essere vissuto come una canzone d’amore, di amicizia, di fratellanza tra popoli o chi più ne ha metta. Io sono sicura che ognuno in questo pezzo ci ha visto qualcosa di diverso, e stasera l’ha cantato con un’idea nel cuore diversa da quella del proprio vicino di concerto, o di Bono stesso.

Se quello che dicono, che il bello dell’arte è che ognuno la può interpretare come meglio crede e non esiste un’interpretazione migliore o peggiore di altre, gli U2 hanno colto il segno, ancora una volta. E poco conta il contorno, le polemiche sui dischi nuovi, o la paraculaggine: loro si sono costruiti una credibilià tale da potersi permettere tutto questo.

U2 Roma 16 luglio 2017, la scaletta del concerto

Sunday Bloody Sunday
New Year’s Day
A Sort Of Homecoming
Pride (In the Name of Love)
Where the Streets Have No Name
I Still Haven’t Found What I’m Looking For
With or Without You
Bullet the Blue Sky
Running to Stand Still
Red Hill Mining Town
In God’s Country
Trip Through Your Wires
One Tree Hill
Exit
Mothers of the Disappeared

Encore:

Miss Sarajevo (Passengers cover)
Beautiful Day
Elevation
Vertigo
Mysterious Ways
Ultraviolet (Light My Way)
One

U2 Roma: le foto del concerto a Roma

Fotografie della prima data del tour italiano a cura di Elena Di Vincenzo per gentile concessione di Live Nation Italia