Stessa spiaggia, stesso mare (magari!). Rieccoci al Circolo Magnolia di Segrate (Milano) per la seconda giornata dell’Unaltrofestival, quella dell’8 luglio 2015, coronata dallo strepitoso concerto di Hozier, alla seconda data del suo primo mini tour italiano dopo quella al Pistoia Blues (guarda foto e report del concerto di Pistoia).
Grandi assenti della giornata i pesaresi Be Forest, costretti ad annullare alcune date del loro tour estivo a causa di problemi familiari di un membro della band. Sarebbe dovuta essere la seconda esibizione di un’eccellente carrellata di band, tra noise pop e raffinato cantautorato pop, rock e folk, aperta dai loro concittadini Brothers In Law. Sul palco con i brani del loro album d’esordio “Hard Times For Dreamers”, i ragazzi si sono fatti apprezzare regalando un set trasognato e distorto e aprendo la strada all’esibizione di Eaves.
Joseph Lyons, meglio noto come Eaves, è un artista di cui è facile immaginare si sentirà parlare a lungo. Il suo album di debutto “What Green Feels Like”, uscito a inizio 2015, è una piccola perla tra folk, grunge e cantautorato rock sulla scia, col dovuto rispetto parlando, di Jeff Buckley. È naturale rimanere affascinati dalle atmosfere dense ed evocative offerte dal musicista di Leeds e il numeroso pubblico del Magnolia si è lasciato rapire senza remore dalla sua esibizione, breve ma intensa.
Ci vuole un attimo per riscuotersi da tale meraviglioso torpore, qualche minuto, prima di rituffarsi a capofitto nel mondo “disegnato male” di Badly Drawn Boy, in Italia con un mini tour di cinque date a celebrazione dei suoi quindici anni di carriera. Felpa e immancabile cappellino di lana (ma come fa?!), Damon Gaugh, questo il nome di battesimo dell’artista britannico, ha dato vita ad un live tra il serio e il faceto. Accompagnato sul palco solo dalla sua chitarra, acustica nella prima parte di concerto ed elettrica nella seconda, Damon ha suonato pezzi tratti da tutte le epoche della sua carriera, dando il meglio di sé su “Once Around the Block”, inframezzato con una simpatica improvvisazione ufficialmente intitolata “Hey Guys”, volta a richiamare a sé il pubblico rimasto in pole position sotto il palco principale in attesa di Hozier. “Everybody’s Stalking”, “The Time of Times” e “Magic in the Air” suonata al piano sono state le altre highlight di uno show dai toni leggeri, chiuso con la cover di “I Wanna Be Adored” degli Stone Roses.
Tutto è pronto per l’ultimo e il più atteso concerto del festival. Reduce dalla riuscitissima prima italiana assoluta di Pistoia, Hozier è salito sul palco del Magnolia accompagnato da una band di sei elementi (tastiere, synth/chitarra/basso, batteria, violoncello e due coriste). Le premesse per un grande show ci sono tutte e stanno, per lo più, nell’omonimo album d’esordio, di cui si registrano, oltre ai numeri da record, una capacità di scrittura e una versatilità di toni e generi davvero rare. “Angel Of Small Death and Codeine Scene” ha aperto una prima parte di live nella quale sono stati i pezzi di matrice più dichiaratamente pop a farla da padrone. Le ritmiche incalzanti e le orecchiabili melodie di “From Eden” e “Jackie and Wilson” sono stati gli altri due terzi di un trittico perfetto per rompere il ghiaccio, nel caso ce ne fosse bisogno vista la devozione tributata dal pubblico italiano al musicista di Wicklow.
Non ci vorrà molto, però, perché Andrew Hozier-Byrne accantoni la vena pop, per immergersi assieme al Magnolia nelle profondità di quella che, senza dubbio, costituisce una delle sue maggiori influenze: il delta blues. “To Be Alone” è intensa da togliere il respiro e il mantra ululante di “It Will Come Back” le fa da eco. Hozier non è certo un istrionico animale da palcoscenico, ma la sua presenza posata non tradisce insicurezza o mancanza di mordente; lui è semplicemente così, sul palco è a suo agio, vibra con la band, lasciandosi attraversare dalla potenza delle canzoni che ha scritto e che ora consegna al suo pubblico con generosità. La sua voce non ha certo bisogno di presentazioni e dal vivo non delude, anzi. Ed è anche un più che discreto chitarrista.
A riportarci in superficie, poi, ci ha pensato la scanzonata “Someone New”, seguita da un altro trittico di pezzi che stende un ponte tra le tradizioni di due continenti, lasciando intendere quanto ampio e vario sia il bacino da cui Hozier attinge gli elementi del proprio vocabolario musicale. “In a Week” cantata in duetto con la violoncellista Alanna Henderson, che fa qui le veci di Karen Cowley, è un pezzo fortemente legato alla tradizione irlandese; “Illinois Blues” è una cover in tributo ad «uno degli artisti più significativi nella mia formazione musicale», il bluesman Skip James, mentre “Like Real People Do” è una sapiente operazione di meticciato a cavallo tra Irlanda e Monti Appalachi.
Tanta carne al fuoco dunque per quest’artista, che con un solo album all’attivo riesce a giocarsela tutta sulla qualità. “Arsonist’s Lullabye” e “Sedated” hanno fatto da preludio al momento che tutti stavano aspettando, sapidamente lasciato a chiusura prima degli encore: quella “Take Me To Church” capace di provocare i brividi alla schiena nella versione da studio, figuriamoci dal vivo! Richiamato sul palco a gran voce, Hozier ha proposto un bis composto ancora una volta da tre pezzi di natura profondamente diversa, in grado di convivere solo grazie all’unicità di questo straordinario artista: “Cherry Wine”, voce e chitarra acustica, la sorprendente cover di “Problem” di Ariana Grande ft. Iggy Azalea e il gospel “Work Song”, degna chiusura di un live intensamente emozionale e dagli eccellenti contenuti musicali.