Unaltrofestival 2016, il report del secondo giorno con Editors e altri

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C’era una volta UnAltroFestival, c’erano le luci soffuse di un posto immerso nel verde dove la musica rincorreva il rombo delle macchine in accelerazione per arrivare presto ad uno degli eventi settembrini maggiormente attesi dal pubblico meneghino, ma non solo. C’erano Birthh, Flo Morrisey, Fil Bo Riva, ma la maggior parte dei presenti attendeva loro I Ministri e gli Editors, headliner di questa serata conclusiva.

Code chilometriche si susseguono per parcheggiare per un Magnolia tutto esaurito che fa bene alla vista e all’anima. E’ come tornare a casa dopo anni che manchi nel tuo peregrinare. Vedi le giacche della band meneghina e sai che ad aprirti quella porta è qualcuno di familiare, che conosci da tempo. Una setlist ristretta seppur densa di gioia. Per ogni concerto mancato quest’anno, ogni volta ripercorrono quello che è il loro percorso dal lontano 2006. Quando cantavano quel “Non mi conviene puntare in alto” eppure di strada ne hanno fatta, e molti di noi con loro. Loro, un successo silente, troppo poco supportati da radio e stampa. Eppure al trio non è mai fregato molto di macchinoni e case di proprietà. La musica la vivono così, con coerenza e questo da dieci anni a questa parte, viene ripagato dall’affetto incondizionato di fan di vecchia e nuova lega. Un flashback lungo “Tempi bui”, “Una palude”, “Diritto al tetto”, sino ad arrivare ad “Idioti” e “Cronometrare la polvere”. E’ come sentire l’adrenalina racchiusa per chilometri esplodere dall’ugola. Seppur “F Punto sempre e comunque” quasi uno slogan pubblicitario, il nuovo ingresso (Marco Ulcigrai – vedi alla voce Il Triangolo) ha aggiunto decibel all’impatto elettrico. E così, su “Abituarsi alla fine”, mentre Divi si lancia nel consueto stage diving, capisci che hai ancora fiato e che le gambe reggono ancora le mille gambe in aria, quasi che la gara di salto in alto l’avresti vinta tu seduta stante.

C’era la gente, la gente che ama il circolo Magnolia, che ama la musica. C’erano le voci le mani in aria. In un total black dove era facile distinguere le maglie made in Editors. C’era chi di concerti della band britannica ne ha visti a iosa e le nuove generazioni dagli occhi sgranati nell’attesa di cogliere il loro arrivo sul palco. Tom Smith una presenza quasi aliena. Quando calca il palco te ne accorgi, non dalle luci, non dal silenzio surreale che lo corona ma dai suoi gesti. Un catalizzatore di attenzione naturale, verrebbe da definirlo. E se “In Dreams”, ultimo album della band che ha venduto milioni di dischi nel mondo, la fa da padrone, percepisci sulla pelle la virata elettronica assunta dalla band. Un live da ballare ma anche da ascoltare, dove senti forte l’eco di “In This Light And On This Evening”, dove stupirti ancora per le virate rock presenti invece su “The Weight Of Your Love”. Ed eccoci lì a ballare e sognare, a pendere dalle labbra di Tom, ad alzare smartphone alla ricerca di uno scatto che possa ricordare la serata come un marchio indelebile su qualche memoria digitale, a baciare il compagno di una vita o uno sconosciuto, a cantare senza sosta, ad innamorarci ancora una volta della musica. A respirare a pieni polmoni quella magia che solo un festival di due giorni può regalarti, mentre senti che la tua fame di pentagramma per un po’ è stata ripagata, in attesa del prossimo concerto per cui piangere, ridere, chiamare l’amica distante che quel treno non è riuscita a prenderlo in tempo.

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