Verdena, le foto e il report del concerto di Milano del 2 marzo 2015

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Inizia così la prima settimana live di marzo in quel di Milano: all’Alcatraz ci sono i Verdena, la band italiana più poetica, meno scontata e più rumorosa del panorama.

In apertura i Jennifer Gentle hanno già lasciato il pubblico a bocca aperta: urli, chitarre e cambi di tempo talmente variegati e frequenti da rendere ardua l’impresa di trovare una pausa abbastanza lunga da poterci inserire un applauso, trasformando lo spettatore in una scimmietta a molla rotta.

Fari alle spalle, entrano in scena le ombre dei Verdena, più il nuovo aggiunto al piano e alla chitarra Giuseppe Chiara, reclutato grazie ad un annuncio in stile band ancora in garage pubblicato sul web: “Gruppo rock avviato in zona Bergamo cerca musicista esperto“. Ed esperto lo è eccome: si muove con maestria nelle retrovie, riempie dove c’è da riempire, riuscendo ad assecondare l’esigenza crescente del gruppo di aumentare le bocche di fuoco per concretizzare al meglio le variopinte atmosfere musicali che rendono unico l’ultimo album, “Endkadenz Vol.1“.

La terza tappa di un tour complicato, a sostegno di un album complicato, scritto e suonato da una band complicata. Il suono che si deve rendere sul palco è quello classico dei Verdena, ma evoluto in Endkadenz in perfetto equilibrio tra noise e melodia, tra distorsione e suite accoglienti, tra furia e poesia. Un compito non facile e infatti non fila tutto liscio.
Il suono delle chitarre è sbagliato. Se ne accorge il pubblico, che non fa nulla per nascondere il suo disappunto, così come il cantante Alberto Ferrari, che tra un riff, un urlo e un falsetto, prolunga spesso la sua foga artistica verso fonico e roadie, riempendoli di improperi e gesti. «Abbassa qua», «alza là», «questo non va». Qualche risata isterica, false partenze, canzoni interrotte e tanta tensione, che mai e poi mai può essere stemperata dal glaciale rapporto con il pubblico, affidato quasi esclusivamente a Roberta, con convenevoli da band che suona dall’altro ieri, più qualche sortita di antipatia pura di Alberto: «Siamo fighi di brutto eh? Siamo Indie!».

Questa parrebbe la cronaca di un disastro, ma non lo è. Perché è nella natura dei Verdena lottare contro le avversità e da queste trarre energia e ispirazione. È la magia di un gruppo che non si può mai dare per scontato.
I pezzi più famosi vengono suonati con rabbia. Il pubblico impazzisce cantando a squarciagola le parole di “Valvonauta”, di una “Luna” danneggiata da una falsa partenza, di una “Muori Delay” mozzata per problemi con la chitarra, ma ugualmente diretta e devastante. I pezzi di “Requiem” son fenomenali anche in sede live, si è visto durante lo scorso tour e si conferma anche ora. La “Don Callisto” in quasi chiusura è una martellata stoner magnifica, dove i Verdena si esprimono con tutta la loro potenza ritmica grazie ad un maestoso Luca e alla solita Roberta affidabile e composta, seppur penalizzata dal già denigrato settaggio dei suoni.

La resa dei nuovi brani testimonia la caratura di “Endkadenz”. Inseriti nel resto della scaletta risultano al tempo stesso coerenti con il contesto ma dotati di un volto nuovo, di una classe superiore. Hanno una profondità maggiore, una complessità che scaccia la banalità ma non li rende pesanti, bensì quasi eterei, con l’impressione che siano piccole opere che sopravvivranno al tempo e alle mode future.
La varietà di temi, melodie e concetti presentati dal materiale più recente è stupefacente. Nelle due ore e più di set “Endkadenz” è stato suonato nella quasi totalità: dalla furia di “Derek” al pop psichedelico di “Sci Desertico”, la bella e facile “Un Po’ Esageri”, i già classici “Puzzle” e “Nevischio”, oltre alla stupenda apertura affidata a “Ho Una Fissa”.

Peccato che la realizzazione di questa nuova e magnifica identità sia stata dolorosa, anche nell’ascolto. C’è stata l’impressione di avere assistito a dei “lavori in corso” di un’esperienza che sicuramente sarà impareggiabile, quando collaudata. Motivo in più per ripresentarsi alle prossime apparizioni in città.

Fotografie a cura di Francesco Zanet.

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