Il Wacken Open Air è oramai considerato da molti come il miglior festival metal mondiale. Quest’anno ha avuto una concorrenza agguerrita dal Sonisphere (specialmente nelle date in cui erano presenti i Big Four), ma ha saputo rispondere con un bill assolutamente all’altezza, la solita teutonica ed impeccabile organizzazione e una schiera di fans affezionati che ogni anno giungono da ogni parte del mondo anche solo per poter dire “Io c’ero”.
Inoltre la follia dilagante del pubblico e del camping rendono spesso le esibizioni delle band una specie di contorno al resto del festival.
Il tempo è stato ottimo; da giovedì sempre sereno, eccezion fatta per una mezz’oretta di pioggia domenica notte a festival ormai.
Mattatori di questa edizione gli Overkill, che hanno proposto un’ora di show al fulmicotone, con Bobby “Blitz” in stato di grazia che non si è risparmiato per un solo secondo, scaletta da greatest hits e una precisione nell’esecuzione da parte dei musicisti davvero degna di nota, al punto che sembrava quasi di sentire delle registrazioni da CD. Picco dello show senza dubbio “In union we stand”, dove la band ha sfoderato una prestazione da 10 e lode. Act da vedere assolutamente dal vivo almeno una volta. Granitici.
A seguire nella classifica dei migliori Alice Cooper, che porta a Wacken tutto il carrozzone dei suoi ormai celebri show: ballerine e figuranti, ghigliottina, patibolo, strumenti di tortura di varia natura, e una scaletta centrata su tutti i suoi vecchi successi. Un carisma incredibile per uno dei personaggi più longevi e dalla carriera più produttiva di tutto il mondo hard rock/heavy metal presente e passato. Leggenda.
In terza posizione i leggendari Iron Maiden. Trionfatori della giornata inaugurale del festival (tutto esaurito nell’area concerti, ndr), autori della solita gran prova di classe, ma con una scaletta che lascia un po’ l’amaro in bocca: tanti pezzi recenti tratti dagli ultimi tre dischi, e i soliti classici a chiudere, niente sorprese riservate per il pubblico wackeniano, niente pezzi vecchi ripescati dalle torbide acque del passato. C’è però da dire che “No more lies” in veste live prende una piega molto più heavy che su disco così come il nuovo singolo “El Dorado”, assaggio del nuovo lavoro della band inglese. La solita carica di Dickinson e la grinta del combo non bastano a fargli guadagnare posizioni in classifica però, per loro questa volta solo il terzo gradino del podio. Intramontabili.
Posto d’onore per lo show del trentennale per i tedeschi Grave Digger, che per l’occasione hanno proposto per intero il loro capolavoro “Tunes of War”, dall’intro (suonata con delle vere cornamuse) fino al brano di chiusura, con ospiti d’onore di tutto riguardo, come Doro Pesch che ha cantato in “The ballad of Mary”, ad Hansi Kursch dei Blind Guardian il quale, insieme ai Van Canto (coristi per tutto lo show), ha dato forza ai cori del classicone per antonomasia della band “Rebellion”. A chiudere uno show assolutamente perfetto e memorabile un paio di brani la dischi più recenti e l’immancabile anthem “Heavy Metal Breakdown”. Ruvidi.
Molto più sotto i Motley Crue, che si sono esibiti poco prima dei Maiden, presentando la stessa scaletta del tour dello scorso anno (identica a quella del Gods of Metal 2009, ma senza “Home sweet Home” a chiudere), non troppo carichi ma sempre carismatici e trascinatori. Purtroppo si è trattato di uno show mediocre e senza picchi particolari da mettere in evidenza, nemmeno Tommy Lee ha fatto le sue solite pagliacciate per intrattenere il pubblico. Piattini.
Il vero flop del festival sono stati gli altri glasmter americani, i W.A.S.P. di mr. Blackie Lawless, presentatosi sul palco vistosamente ingrassato e svociato, è stato autore di uno show piuttosto piatto, incolore e privo di mordente. Peccato davvero, solo un ricordo l’esibizione ottima dello scorso novembre a Milano. Bolliti.
Fra le esibizioni rimanenti, quelle più apprezzate dal pubblico sono state in ordine quella dei tamarrissimi blackster Immortal, autori di una scaletta orientata più sui lavori recenti che su quelli storici, ma istrionici sul palco e ‘poser’ come non mai. Altro act sicuramente degno di nota quello dei Soulfly, con un Max Cacallera incazzatissimo, che caricava il pubblico chiedendo circle-pit a gran voce nonostante i continui avvisi “No circle pit please” che passavano sui maxischermi (perennemente fischiati e ignorati dal pubblico tra l’altro), e proponendo una micidiale serie di vecchi classici dei Sepultura che hanno sicuramente fatto morti, feriti, vedove e orfani. Acclamatissimi dal pubblico teutonico anche gli autoctoni Die Apokaliptischen Reiter, che col loro carisma e il loro metal cantato in tedesco hanno riscosso un ritorno enorme pur suonando a metà pomeriggio. Nemmeno gli Arch Enemy dell’ex-Carcass Michael Amott sono stati da meno a livello di violenza sonora e di massacro sotto il palco. Autori di uno show intenso e massiccio anche gli svedesi Unleashed, che con il loro death metal dalle forti tinte pagane e vichinghe conquistano l’accaldato pubblico wackeniano anche nel pieno pomeriggio della seconda giornata di festival.
Prestazioni interessanti sono state pure quella dei country-metallers BossHoss e di Tarja (ex-Nighwish), che ha sfoderato una voce davvero notevole, presentando pezzi nuovi alternati a vecchi successi del suo ex gruppo.
Altre chicche da segnalare i violentissimi blackster 1349 (con Frost dei Satyricon dietro le pelli della batteria) e Ihsahn (ex-vocalist degli ormai sciolti Emperor), che presentava il suo disco solista dalle sonorità molto particolari; poco più in la gli Slayer facevano altri morti e feriti con uno show come sempre devastante e aggressivo (circle pit enormi a ridosso del palco e crowd surfer come se piovesse).
Ultimo act del festival quello dei Tiamat, che hanno riproposto in sede live l’intero disco “Wild Honey”, uno dei loro lavori di maggior successo. Esecuzioni pregevoli da parte della band, ma l’ora tarda e tre giorni di festival sulle spalle non erano certo gli ingredienti migliori per assistere ad un concerto caratterizzato da suoni lenti, cadenzati e fortemente psichedelici. Soporiferi ma con classe.
Nelle pause fra un brano e l’altro giungeva alle orecchie il riffing di Dino Cazares che, con i suoi Fear Factory, stava demolendo quello che ancora restava del pubblico assiepato sotto al Black Metal Stage…
Corrado Riva