Wilco, il report del concerto a Ferrara del 4 luglio 2016

wilco-report-concerto-ferrara-4-luglio-2016Kurt Vile Wilco: questo promette il cartellone del Ferrara sotto le stelle, e le premesse non possono che creare ottime aspettative.
Kurt Vile ed i suoi Violators salgono sul palco mentre Piazza Castello si riempie, partendo con energia ma leggermente sottotono, rispetto a come finiranno l’esibizione: lo show è un crescendo, e Vile ci fa ascoltare diversi brani tratti da “b’lieve i’m goin down…” e da “Wakin On A Pretty Daze“: spiccano “I’m An Outlaw” e “Pretty Pimpin”, tra le più memorabili della produzione recente. Se già i dischi erano un indizio, dal vivo Kurt Vile conferma le sue sonorità sporche, alternandosi tra chitarre e banjo. Il suo è un rock dalle contaminazioni folk, un folk che ha incontrato la distorsione.

Gli Wilco iniziano a suonare quando il sole è tramontato: sul fondo del palco scorrono fili di lucine colorate (quelle che quando se ne fulmina poi le devi buttare tutte, mi viene da pensare, ma forse gli Wilco comprano luci migliori di quelle dei miei addobbi natalizi); nella loro semplicità, gli effetti che si rincorrono per tutta la serata su questo tendaggio luminoso risultano molto efficaci.
Musicalmente parlando, la band è allucinante. Il set è ben nutrito, e la scaletta esplora tutta la discografia della band, anche la collaborazione con Billy Bragg. Tra i brani d’apertura emerge “Random Name Generator”, tratto dal recente “Star Wars”, e fin dalle primissime note del concerto spicca su tutto l’ottimo sound della band: ben curato, riconoscibile, una vera gemma. L’intera serata avanza senza demeriti, e tra i momenti memorabili c’è l’esecuzione di “Via Chicago”, che vede il batterista ed il primo chitarrista sbroccare di brutto (se c’è un termine per definire quello che hanno suonato, io di certo non conosco) e creare un muro sonoro che si abbatte sul pubblico, mentre Jeff Tweedy prosegue con la sua linea melodica come nulla fosse, in attesa che tutto torni come prima. L’effetto è straniante, e memorabile.

A rendere interessante la musica degli Wilco, su disco come sul palco, è la giusta misura tra semplicità e sperimentazione: il loro rock dalle forti influenze country non manca quasi mai di sconfinare in territori nuovi e sconosciuti, ma senza mai perdere la bussola e scivolare in sterili virtuosismi.
La parte finale del concerto, i numerosi encore, cambiano notevolmente il registro: accantonati gli amplificatori si passa ad un vero e proprio “unplugged”, amplificato soltanto da alcuni microfoni; chitarre acustiche, banjo, dobro e metallofono portano la musica ad un livello più intimo, ma non meno coinvolgente. Tutti i componenti della band colpiscono positivamente, in particolare il batterista Glenn Kotche e l’inarrivabile Nels Cline, 82esimo miglior chitarrista di sempre secondo “Rolling Stone”. Degno di nota è anche Pat Sansone, che suona chitarra, banjo e un po’ di tutto: a prima vista (e ci vedo bene) giudicavo avesse diciotto o vent’anni, complice il taglio alla Ryan Adams/Disney Channel, ma Wikipedia mi informa che ne ha 47.
Buon per te Pat.
If you still love rock and roll…

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