8 maggio 2016, è il giorno dei Wolfmother in un’uggiosa Milano alle porte dell’estate e l’Alcatraz per l’occasione è in versione ridotta, come spesso succede nei concerti minori per garantire la mancanza di antiestetici spazi vuoti sotto il palco. Pericolo scongiurato, perché la serata vede un’affluenza di tutto rispetto e un pubblico decisamente esaltato per la band australiana, segno che l’ultimo album “Victorious” e i suoi pezzi in rotazione hanno lasciato il segno, andando a rimarcare il fantastico materiale hard rock confezionato negli ultimi 10 anni.
La band di apertura si presenta con i suoi amplificatori Orange lasciando presagire un sound stoner di derivazione, e le aspettative sono state mantenute. Si chiamano Electric Citizen e il loro stampo anni ’70 è talmente marcato da rasentare il cosplay. Il tributo ai Black Sabbath sfiora l’amore incondizionato, e pare quasi di rivivere quelle atmosfere. Viene da chiedersi cosa sarebbe stato rivivere quei momenti nella storia, con quelle band ai massimi livelli. Se già così senti quel sapore, quell’aria di libertà e potere incondizionato, cosa sarebbe stato essere sotto il palco con un Robert Plant a rintoccare il martello degli dei, o Ozzy a dare manto musicale alla paranoia? A noi è dato rivivere quella musica in maniera derivata, e la cantante Laura Dolan con il resto del gruppo ce la mettono tutta, scaldando in maniera efficace il pubblico che si diverte e li acclama. Concerto spalla davvero riuscito e piacevole.
Puntuale si presenta sul palco il gruppo di Andrew Stockdale. La formazione attuale è il risultato di parecchi terremoti di assestamento che hanno in qualche modo rallentato l’ascesa dei Wolfmother, che dopo l’esplosione iniziale hanno subito una brusca frizione dovuta a problemi tra il motore diegetico della band, il cantante chitarrista Stockdale, e gli altri membri della band nonché l’etichetta discografica. A comporre la band c’è ora lo stesso Stockdale a chitarra e voce, Vin Steele alla batteria, e a basso e tastiera il fantastico polistrumentista Ian Peres, stupendo da guardare mentre passa da uno strumento all’altro saltando per il palco.
Chi segue il gruppo australiano dagli inizi ha l’impressione che, a parte la lineup degli esordi e del favoloso primo album omonimo, si abbia di fronte la formazione meglio affiatata possibile, e che Andrew Stockdale si trovi a suo agio e nelle condizioni di rendere al meglio sia live che in studio.
L’ultimo album “Victorious”, infatti, è un prodotto apprezzato sia da critica che pubblico, e si parte appunto con il singolo omonimo di lancio. Il gruppo è in serata e lo è anche il pubblico, che salta e sgomita, e già alla terza canzone, la famigerata “Woman”, l’atmosfera si fa agitatissima, da vero concerto rock. La gente comincia a volteggiare sopra le teste della folla, si canta e si salta e i Wolfmother apprezzano e danno il massimo. Il concerto sarà relativamente breve, considerando anche il fatto che ormai il materiale discografico annovera quattro album più due Ep, ma il treno dei Wolfmother non fa fermate e va a duecento all’ora.
Quando luci e musica si spengono, il pubblico ha solo il tempo di prendere il respiro che tratteneva da un’ora e mezza e chiedersi cosa sia successo nel frattempo, quale sia la causa scatenante di tutto quel sudore, dei colpi, di quella sensazione di soddisfazione e libertà che solo un concerto rock può dare.
Era il 2005 quando uscì il primo omonimo album che portò i Wolfmother all’attenzione del mondo intero e a supportare band come Pearl Jam, Ac/Dc e Aerosmith, e ieri sera i pezzi favolosi usciti da quel lavoro hanno infiammato la folla. “Woman” come dicevo, ma anche “Colossal”, “White Unicorn”, la bellissima “Vagabond” e il capolavoro psichedelico “Minds’ Eye”, un po’ sacrificate nella versione medley proposta (forse meritavano uno spazio maggiore). Solo nel 2009 si vede il successivo episodio discografico “Cosmic Eggs”, anch’esso composto da pezzi vivacissimi e divertentissimi, come “New Moon Rising” e “White Feather”, proposte e apprezzatissime. Il nuovo disco è stato omaggiato con “Gypsy Caravan”, mentre la chiusura è stata affidata, come sempre, ad un altro pezzo proveniente dal debutto, la potentissima “Joker and the Thief”, una cavalcata hard rock irresistibile che ha mandato il pubblico in delirio. Insomma, una setlist non molto corposa ma potente.
I Wolfmother sono un gruppo imperdibile live e da consigliare sempre e comunque: diretti e divertenti. Se è proprio vero che per la nostra generazione il vero rock rimane una chimera, loro sono uno degli episodi che più ci avvicinano, almeno, al vero significato della musica.