Young Guns Roma Traffic Club 5 novembre 2012

Arrivare in un locale, come il Traffic Club che ha ospitato la prima delle due recenti calate italiane degli Young Guns, e trovare una montagna di gadget gratuiti griffati Vans vuol dire iniziare la serata con il piede giusto. Ma è risaputo che, purtroppo, non tutte le ciambelle escono col buco, e spesso nemmeno le serate. Complimenti vivissimi agli organizzatori Hub perché hanno abbracciato la mia personale crociata del “non più di tre gruppi per concerto“, perché tre è il numero perfetto sotto ogni aspetto.

Il primo gruppo che sale sul palco del Traffic Live Club è un quartetto piuttosto conosciuto a Roma, The Anthem, e a loro vanno i complimenti per essere riusciti a scaldare il pubblico perfettamente, e anche perché riescono sempre a portare a casa una certa quantità di applausi. I secondi sono gli inglesi Your Demise, che nonostante l’audio pessimo riescono a portare a casa uno show abbastanza pulito, vetrina tricolore del loro ultimo lavoro “The Golden Age“.

Arriva il turno degli headliner e tanto attesi Young Guns, che iniziano con il botto con uno dei brani più potenti del loro ultimo album “Bones” (indubbiamente uno dei dischi più interessanti del 2012), “Dearly Departed“, ma dopo il primo minuto di foga si capisce che qualcosa nell’audio continua a non andare, quel qualcosa che non andava dall’inizio dello show e che si sperava si sistemasse magicamente. Praticamente la voce di Gustav Wood (il frontman degli Young Guns) bisogna immaginarla, perché quello che arriva alle nostre orecchie è solo musica.

Continua così, passando per pezzi estratti dal primo album “All Our Kings Are Dead” quali “Weight Of The World“, “D.O.A.” e “Crystal Clear” ed altri estratti dal passato come, ad esempio, “Towers“, “Learn My Lesson” e l’ultimo singolo “You Are Not“. Il gruppo però sembra fare finta di niente e allora anche il pubblico risponde con entusiasmo, e così si arriva al finale dove esplode un coro mentre parte “Bones“, la titletrack nonché forse il pezzo più interessante dell’intera discografia del gruppo inglese.

Finisce così, e quindi alla fine nonostante una scaletta più che soddisfacente con tutti i pezzi che vorresti sentire è difficile ingoiare il boccone amaro, anche perché le tre esibizioni sono state fortemente penalizzate da un impianto e da un lavoro a livello di suoni non all’altezza. E’ piuttosto triste farsi sempre riconoscere per questi sbagli in Italia, ma soprattutto a Roma. Ma meno male che anche agli stranieri basta dire un “Bella” che passa tutto.

Denise D’Angelilli

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