Il 1969 è l’anno più importante nella carriera di Frank Zappa. Abbandonati i panni dell’iconoclasta agitatore freak di “Absolutely Free” e “We’re Only In It For The Money”, il maestro si rivela per quello che realmente è: uno dei maggiori compositori del Novecento. Lo fa da par suo, con due capolavori colossali, in cui allestisce una big band in grado di suonare rock, jazz e classica allo stesso tempo. “Uncle Meat” è un doppio LP, che avrebbe dovuto essere la colonna sonora di un film poi abortito; qui Zappa può contare su di uno studio di registrazione eccellente e, ancor più importante, sul talento dell’abilissimo polistrumentista Ian Underwood, in grado di spaziare dal pianoforte al sax baritono. I pezzi forti sono due, la title – track e “King Kong”: entrambi, al loro livello zero, sono costituiti da una brevissima serie di note, le quali però vengono sottoposte a un serratissimo sviluppo a base di variazioni di ritmo, di timbro e soprattutto di genere musicale, passando dal musical al rock al jazz all’avanguardia. In questo caso il “tema con variazioni” assume per Zappa la stessa importanza della forma – sonata per Beethoven. “King Kong”, tramite la rilettura del violinista Jean-Luc Ponty, prenderà addirittura lo status di classico del jazz. “Hot Rats“, un “film per le vostre orecchie” nelle parole dell’autore, svela il volto più caldo (ma non per questo meno importante) dell’arte zappiana: accanto a mini – poemi sinfonici per il Ventesimo secolo, quali “Son Of Mr. Green Genes”, “Little Umbrellas” e l’immortale “Peaches En Regalia”, appaiono due jam di fusion straordinarie come “Willie The Pimp” (con la voce di Captain Beefheart, unico pezzo non del tutto strumentale del lavoro) e “The Gumbo Variations”, importanti per l’ibridazione fra jazz e rock quanto i dischi che Miles Davis stava componendo in quegli stessi anni.
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