Devo – Q: Are We Not Men? A: We Are Devo

I Devo provengono dalla capitale mondiale della gomma (Akron, Ohio), e hanno una missione: mostrare all’America e al mondo intero che, dopo l’evoluzione darwiniana, è ormai giunto il tempo del processo opposto, ossia la de – evoluzione dell’intero genere umano, provocata da un progresso tecnologico che, nelle mani della società capitalistica, sta rendendo l’uomo un prodotto seriale piuttosto che un essere senziente. L’apocalisse asettica è alle porte, ma a differenza dell’iconografia classica utilizzata per rappresentarla, non c’è nulla di realmente tragico, di incommensurabile, di abbacinante; piuttosto un lento scivolare nell’incoscienza provocata dalla corruzione del DNA e dal dominio delle macchine, ma sempre col sorriso (ebete) sulla bocca. Qualcosa di grottesco, insomma. E allora largo a una musica che procede a scatti spastici, in cui chitarre e sintetizzatori si compenetrano come mai era accaduto prima d’allora, e in cui funk mutante e dance aliena s’innestano nelle distorsioni epilettiche del punk. Mentre i costumi di plastica della band e i movimenti disarticolati del cantante Mark Mothersbaugh simboleggiano l’avvento del demente uomo robotico che di lì a poco prenderà il sopravvento. “Q: Are We Not Men? A: We Are Devo” è la fotografia del mondo che sta cadendo a pezzi. Più prosaicamente, si tratta di uno dei dischi più geniali partoriti dalla new wave, forte di brani che hanno fatto la storia del genere: la cover androide di “Satisfaction”, gli spasmi di “Jocko Homo”, le frustate sintetiche di “Mongoloid”, la compulsione alla masturbazione di “Uncontrollable Urge” e la tossicodipendenza astrale di “Space Junk”. Su tutto troneggia il crescendo epico ed iperdelico di “Gut Feeling”, centrifugato di chitarre imbizzarrite e tastiere futuribili che vanno a formare una delle più belle canzoni della fine dei Seventies, nonché uno dei migliori esempi di punk elettronico. La produzione dell’album è affidata all’onnipresente Brian Eno.