I Clash sono stati una delle formazioni più longeve della prima ondata punk inglese, sicuramente quella più curiosa di espandere il proprio habitat sonoro. Dopo un classico del brit punk come l’omonimo del 1977, e il transitorio “Give ‘Em Enough Rope” del ’78, Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon realizzano un doppio album in grado di farli entrare nella storia della new wave (e del rock). In “London Calling” la band compie la marcia del gambero e s’impegna nel recupero di più di due decenni di evoluzione della musica giovane, contaminando le sue 19 tracce con rhythm & blues, rock and roll di ascendenza Fifties, e poi ancora reggae, soul, rockabilly, giungendo pure ad aperture latinoamericane. In “Jimmy Jazz” è potente la presenza di un’intera e swingante sezione fiati (The Irish Horns), “Rudie Can’t Fail” confonde calypso, ska e reggae su di un beat alla Bo Diddley, “The Guns Of Brixton” lambisce persino il dub, mentre il lieve pop/rock di “Spanish Bombs” è accoppiato ad un testo che parla della guerra civile spagnola degli anni Trenta, ulteriore prova dell’impegno politico che da sempre i Clash coltivano. Il capolavoro nel capolavoro è però la title – track, il cui accordo iniziale in crescendo, suonato all’unisono dalle chitarre di Jones e Strummer e contrappuntato dal basso di Simonon, è diventato uno dei temi più riconoscibili del gruppo. “London Calling” s’imporrà anche negli Stati Uniti, diventando disco di platino.
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