L’esordio su lunga distanza dei georgiani R.E.M. è di quelli che si possono catalogare come epocali, senza timor di smentita. Perché il suono soffice ma scarno del quartetto, imbevuto di ricordi Sixties, il jingle jangle della chitarra Rickenbacker di Peter Buck evocante i Byrds (anche se la band, in seguito, affermerà di averli conosciuti solo superficialmente), la voce di Michael Stipe intenta a intonare testi criptici e sognanti al tempo stesso, l’assenza di tastiere elettroniche e sintetizzatori furono tutti segnali di un superamento degli stilemi new wave, i quali stavano diventando maniera, e contemporaneamente indicarono l’inizio di un nuovo corso del rock, quello che oggi cataloghiamo come alternative o indie. In realtà alcune linee di basso richiamavano ancora le esperienze post – punk di band come Gang Of Four (questa sì una reale influenza per il gruppo, a detta dei diretti interessati), ma l’insieme dell’amalgama profumava di antiche melodie prese a prestito da quella musica che punk e affini avevano voluto spazzar via. L’anthem sottovoce di “Radio Free Europe”, le atmosfere sfumate di “Pilgrimage”, l’intimismo di “Talk About The Passion” e la verve quieta di “Catapult” sono i primi capolavori di una carriera che segnerà in profondità due decenni di popular music.
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