Attivi sin dal 1971, con “Arrapaho” gli Squallor ampliano la loro notorietà (ne scaturirà pure un film omonimo l’anno successivo), e preparano le basi per il successo di “Tocca l’albicocca” (1985), più di centomila copie vendute. Già, perché nonostante l’ostracismo della critica e dei vari canali tradizionali (radio e televisione), gli Squallor i loro dischi li vendevano eccome. Pur non possedendo il lignaggio punk degli Skiantos (ma li precedettero) né il substrato zappiano e la formazione rock/fusion di Elio e le Storie Tese (ma su questi eserciteranno una grossa influenza), i loro sfottò a base di volgarità assortite e parodie della pop music, italiana e non, erano quanto di più anarchico e graffiante si potesse sentire nel nostro paese durante gli anni Settanta e Ottanta. Celati dietro un manto di comicità apparentemente di grana grossa, in realtà spesso nobilitata dal nonsense più puro, i siparietti scurrili dei Nostri attaccavano senza pietà i molteplici malcostumi della società italiana, partendo dalla politica e arrivando persino alla religione. Che sorpresa, poi, sapere che dietro questo nome si nascondevano Alfredo Cerruti, famoso produttore discografico e autore televisivo napoletano, Giancarlo Bigazzi, paroliere e autore di successi di musica leggera degli anni Sessanta come “Lisa dagli occhi blu” e “Rose rosse”, Totò Savio, cantante, arrangiatore e ottimo musicista melodico napoletano, e infine Daniele Pace, anch’esso scrittore di canzoni per, fra gli altri, Gigliola Cinquetti e Caterina Caselli.
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