Dopo tre anni di lacerazioni della line – up e problemi vari, i Black Flag sono pronti a pubblicare il secondo album, attesissimo successore del memorabile “Damaged“. Della formazione che suonava in quel disco sono rimasti i soli Henry Rollins, la cui voce si è notevolmente potenziata, e il fondatore Greg Ginn, sempre più interessato ad appesantire i suoni della sua chitarra (suona anche il basso sotto lo pseudonimo Dale Nixon, mentre alla batteria siede Bill Stevenson, già con i Descendents). “My War” è un altro colpo da maestri e, soprattutto, rappresenta un netto cambio di stile rispetto all’hardcore punk degli esordi. Le scariche al tritolo della sei corde e le urla belluine che segnano la title – track possono ancora ricordare da vicino i brani di “Damaged”, così come la furia autolesionista della breve “Beat My Head Against The Wall”; e in generale il primo lato, sebbene faccia emergere con prepotenza riff di chiara matrice metal, conserva un modus operandi in linea con la tradizione della band. Sono i tre lunghi brani del lato B a scavare un profondo solco fra l’HC canonico e i nuovi Black Flag: “Nothing Left Inside”, “Three Nights” e “Scream” avanzano lenti (!), spessissimi e fangosi, e i rantoli di Rollins sottolineano come mai prima d’allora suoni inauditi (nel senso letterale della parola), che fungeranno da spunto per moltissimo crossover/metal del futuro, in particolare quello ascrivibile al filone sludge. Prima dello scioglimento, avvenuto nel 1986, il gruppo avrà ancora modo d’indagare hard rock e psichedelia, influenzando tanto alternative rock grazie a un altro gioiello come “In My Head” (1985).
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