E’ un disco immenso, “Grace“. E purtroppo è anche l’unico pubblicato in vita da Jeff Buckley, prima che il maledetto gorgo di un canale del Mississippi si prendesse la sua vita in un giorno di maggio del 1997. Figlio di Tim, Jeff aveva ereditato dal padre una voce unica per timbro ed estensione, ma a spiccare in queste 10 canzoni sono soprattutto i clamorosi picchi emotivi che la sua ugola riesce a raggiungere, oltre ed al di là di tutte le possibili considerazioni tecniche. “Grace” è già un classico del rock il giorno della sua uscita, e non stupisce solamente per il canto del leader. Musicalmente è un miracoloso punto d’incontro fra antico e moderno: c’è il folk della tradizione americana dilatato da lievi soluzioni psichedeliche (cfr. “Dream Brother”), ci sono sfumature blues in più di una composizione, e ovviamente ballad immortali, come la commovente cover di “Hallelujah” di Leonard Cohen oppure l’inedito “Lover, You Should’ve Come Over”. Ma sono pure presenti inattesi scatti di selvaggia elettricità, ad esempio nell’apripista “Mojo Pin” o nella quasi grunge “Eternal Life”, e ancor più inattese digressioni verso il post – rock: “So Real”, forse il momento più peculiare dell’opera, è costruita sopra un riff alla Slint che viene lacerato da alcuni secondi di puro delirio noise. Sono pochi i dischi usciti negli anni Novanta che possono competere con “Grace” in termini di qualità e rilevanza artistica. Chissà dove sarebbe potuto arrivare Buckley se non fosse morto così giovane…
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