The Stooges – Funhouse

Il disco più estremo della storia del rock. Essenzialmente per un motivo: nessun album ti lascia tanto prostrato fisicamente e mentalmente come “Funhouse“. Si arriva alla fine dell’ascolto sfiniti, letteralmente prosciugati di ogni energia, tante sono le emozioni che si susseguono una dietro l’altra. Questi sette brani, che influenzeranno punk e affini più di qualsiasi altra cosa, sono un concentrato di malessere che dalla strada prende forza e si scaraventa nel mondo con la potenza di centomila bombe atomiche. Le chitarre imbizzarrite di “Down On The Street” bruciano le sinapsi, il ritmo ossessivo di “Loose” è ipnosi maligna, l’urlo di Iggy Pop su “T.V. Eye” (il capolavoro di tutto il punk, passato e presente) mette paura e il break centrale ti risucchia l’anima, il blues di “Dirt” è talmente malato e livido da risultare ripugnante. Il secondo lato è ancor più mostruoso: in “1970” Iggy ripete ossessivo “I feel alright” mentre intorno chitarra, basso e batteria picchiano impazzite e deragliano in un’orgia sfrenata, fino all’arrivo del sax piromane di Steven Mackay che incendia la scena del crimine, con un assolo di free jazz dei più truci e brutali immaginabili. La title – track è condotta da questo strumento, il cui fraseggio improvvisamente si fa più cool e disteso (sempre tenuto conto del contesto), mentre l’Iguana sbraita e gli altri tre inscenano un boogie psichedelico che rappresenta l’unico momento di ‘calma’ prima dell’esplosione atroce di “L.A. Blues”. Il definitivo collasso psico-fisico, l’attacco isterico più cattivo e spietato che si possa immaginare; non c’è ritorno dal marasma contorto e primordiale di quest’apocalisse alienata. Il sax barrisce frasi disarticolate, chitarra e basso prima s’innalzano terribili e poi si lacerano in mille schegge che vanno a conficcarsi nel cervello, la batteria è colpita secchissima e all’impazzata, Iggy schiuma rabbia, urla epilettico fino ad arrivare al ruggito assassino a metà brano, per poi passare al rantolo agonizzante e terminale che chiude, giova ripeterlo, il disco più estremo della storia del rock. Su “Funhouse” sono state spese parole simili in centinaia di articoli, non s’è detto nulla di nuovo qui, ma è sempre un piacere ribadirlo.

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