Opera paradigmatica di un intero genere, il glam rock, “Ziggy Stardust” ne rappresenta anche la sua più che prematura (auto)distruzione. In questo concept – album Bowie fa le cose davvero in grande, elevando all’ennesima potenza l’estetismo glamour del precedente “Hunky Dory”. Si tramuta nell’alieno sotto spoglie umane Ziggy Stardust, venuto sulla terra per instradare l’umanità verso il sentiero della pace e dell’amore a colpi di rock n’ roll teatrale, bisessualità e eccessi di ogni tipo. Si polverizzerà, infine, per mano sia dei suoi fan sia della incontenibile tracotanza che da sempre lo spinge nella vita. In questo senso, il personaggio creato dal musicista assurge a simbolo della rovina in cui sono precipitati i vecchi ideali della controcultura del decennio precedente. Musicalmente, le sonorità sono molto simili a quelle sfoggiate dal predecessore, solo più orientate verso l’hard rock e ancora più cariche di tensione melodrammatica. David celebra il lato più turgido del rock, lo rimpinza di melodie rigonfie di lussuria, lo spinge ai bordi del kitsch in “Soul Love”, “Starman” e “Lady Stardust”, lo nevrotizza in “Hang On To Yourself”, lo blandisce in “It Ain’t Easy” e nella title – track, lo fa esplodere in “Suffragette City” e infine gli spara in bocca nell’epilogo acustico – orchestrale di “Rock ‘N’ Roll Suicide”. È una morte catartica: per un anno il Nostro impersonerà in tutto e per tutto Ziggy anche sul palco, accompagnato dagli Spiders From Mars, per poi chiudere definitivamente il discorso una sera del 1973 e iniziare a cambiar pelle per la prossima mutazione.
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