Led Zeppelin – Physical Graffiti

Se volete un bignami del suono dei Led Zeppelin, non dovete far altro che procurarvi questo clamoroso doppio album, in cui la band – simbolo dei Seventies si diverte a raccogliere ben quindici brani scritti e registrati fra il luglio del 1970 e il febbraio del 1974. Racchiuso in “Physical Graffiti” c’è davvero di tutto, dall’hard rock più pesante al blues psichedelico, dalla dolcezza del folk al fascino degli influssi etnici. Si potrebbe stilare un elenco dei pregi di ogni singolo brano, ma sono tre gli episodi che faranno passare questo disco alla storia: il turgido sinfonismo mediorientale di “Kashmir“, pinnacolo di luce che esala fumi d’oppio e incenso per oltre otto minuti; l’ancestrale misticismo di “In The Light”, il cui incipt si fa largo fra la foschia dell’alba per poi aprirsi in uno splendido riff melodico (fondamentale nell’introduzione il suono del synth di John Paul Jones e la chitarra acustica che Jimmy Page suona con l’archetto del violino); infine “In My Time Of Dying“, antichissimo gospel blues che i quattro squartano al mattatoio, in una jam di undici minuti fra la chitarra posseduta di Page, la voce spiritata di Plant, il basso agonizzante di Jones e la batteria violentata da Bonham.

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