Dopo tre dischi ancora incerti fra un hard rock di chiara matrice Zeppeliniana e le prime tentazioni progressive, con “2112” i Rush scrivono un nuovo capitolo nella storia della musica. Il trio canadese formato da Geddy Lee (basso e voce), Alex Lifeson (chitarra) e Neil Peart (batteria) realizza un’opera centrale per lo sviluppo di quello che negli anni Novanta sarà chiamato progressive metal, tanto che band come Dream Theater e Symphony X devono più di un’intuizione a questo album. “2112” è un concept fantascientifico ispirato dai libri della scrittrice Ayn Rand, il cui cuore sonoro è tutto racchiuso nella sontuosa suite omonima, oltre venti minuti di musica che, senza quasi l’ausilio delle tastiere, sintetizza il furore dell’hard rock e la complessità delle partiture di band quali Genesis, Yes e King Crimson grazie alla grande abilità tecnica e compositiva dei tre musicisti in questione. In un continuo concatenarsi di momenti elettrici ed acustici, sferzati dalla voce altissima di Lee, i Rush inventano un genere e un nuovo modo di comporre, che solo molti anni dopo verrà compreso appieno. Sarà anche il loro primo long playing a vendere più di un milione di copie ma, prescindendo dai dati di vendita, in questa sede interessa la freschezza del sound contenuto nei suoi solchi, che permetterà al rock progressivo di acquistare una nuova dimensione e di sopravvivere, seppure in un cantuccio, per molti anni ancora.
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