Spesso scambiati per una band della NWOBHM (acronimo che sta a significare New Wave Of British Heavy Metal), in realtà i Judas Priest non fecero mai realmente parte di questo fenomeno, essendo precedenti ad esso e, soprattutto, ancora profondamente radicati nel suono degli anni Settanta. È certo, però, che siano stati una delle più grandi fonti d’ispirazione per tutti quei gruppi che svecchiarono la tradizione hard & heavy basata sulla triade Led Zeppelin – Black Sabbath – Deep Purple. Dopo un esordio fortemente influenzato dal progressive rock (“Rocka Rolla” del 1974), e un seguito già prepotentemente indirizzato verso il rock duro (“Sad Wings Of Destiny” del 1976), con “Sin After Sin” Rob Halford e soci intuiscono che c’è un nuovo modo per “suonare pesante”: i riff si fanno più compatti, grazie ad uso rivoluzionario delle due chitarre, la sezione ritmica pulsa bronzea, la voce si esalta nel raggiungimento di acuti incredibili, e nel complesso le strutture dei brani assumono una plasticità statuaria che il rock precedente non conosceva. Questo album contiene già parecchie perle: la riuscitissima cover di “Diamonds & Rust” di Joan Baez, i gemiti chitarristici di “Sinner“, più di tutto la cavalcata spietata di “Dissident Aggressor“, in cui l’acuto iniziale di Halford, gli assoli e il rifferama delle due asce di Glen Tipton e K.K. Downing diverranno totem metallici riutilizzati da miriadi di act heavy metal.
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