La trama in note di “Meat Is Murder” non differisce sostanzialmente da quanto ordito nell’esordio, nonostante “The Headmaster Ritual” accentui la pesantezza della batteria, la veloce “What She Said” si avvicini all’hard e la chitarra di Marr non sia mai stata così ipnotica come in “How Soon Is Now?” (strada, quest’ultima, che verrà sviluppata in futuro). Per gli Smiths si tratta inequivocabilmente di un disco di passaggio, tuttavia i testi di Morrissey sono più ispirati che mai, lambendo a tratti la vera e propria poesia; migliaia di ragazzi vengono totalmente catturati da questo modo tenero e ironico di mettere in mostra il proprio privato utilizzando temi universali, cantati per giunta con un delizioso quanto solo apparente distacco, spesso capovolto in accorata partecipazione. Chi, ai tempi, non apprezzava certa vacuità del pop allora imperante, voleva musica recante profondi significati e, allo stesso tempo, amava anche la melodia e non solo la violenza sprigionata da metal, hardcore punk e sperimentazioni noise assortite, non poteva non consumare sino alla consunzione i solchi dei dischi degli Smiths.
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