Pantera – Cowboys From Hell

Negli anni Ottanta i texani Pantera erano un mediocre gruppo di glam metal di scarso successo, ricordato oggi più per la bruttezza delle copertine dei loro dischi che per la musica prodotta. Nell’88 arriva da New Orleans il cantante Phil Anselmo, e l’album “Power Metal” mostra i primi, timidi segnali di cambiamento. La mutazione definitiva la si ha, però, con “Cowboys From Hell“, prodotto dall’esperto Terry Date, che enfatizza le frequenze basse e il sound muscolare forgiato da Vinnie Paul (batteria), Rex Brown (basso) e dal compianto Dimebag Darrell (chitarra), quindi amplificato dall’urlo ‘melodico’ del frontman della Louisiana. Proprio nell’ultimo anno di splendore del thrash metal storico, successivamente spazzato via dal grunge e scioltosi nei mille rivoli dell’underground (death e black), i Pantera escogitano una mutazione del riffing tipico di act quali Megadeth, Slayer, Metallica e Anthrax che avrà enormi fortune e la cui influenza si fa sentire ancora oggi. “Cowboys From Hell” è ricordato soprattutto per la drammatica “Cemetery Gates”, ma gli spunti seminali sono innumerevoli: l’alone di follia che permea “Psycho Holiday”, l’irruenza della title – track, i riff tipicamente thrash di “Heresy” e “Domination” tramutati in qualcosa di meno rapido ma dal suono più profondo e ricco di groove, il “rombo di motore” che introduce l’uragano ritmico di “Primal Concrete Sledge”, gli assoli quasi hard rock (ma dai volumi spaventosi) di Darrell. Potenza, violenza e pesantezza, ma anche appeal commerciale: una formula portata a compimento nei due lavori successivi.

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